LA VIA DI PORTA EBURNEA

Dalla Chiesa di Santo Spirito alla Cattedrale di San Lorenzo

Carta (provvisoria) Porta Eburnea

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PORTA EBURNEA

Il rione
Il rioni di Porta Eburena ha subito grandi trasformazioni. Era il cuore della città medievale, quando l’area fu stravolta dalla costruzione della Rocca Paolina nel XVI secolo, che richiese la semlolizione anche della chiesa di Santa Maria dei Servi e del palazzo di Braccio Baglioni. La fortezza papale venne a sua volta distrutta dopo l’Unità d’Italia. Gli stretti vicoli intorno a Piazza del Circo, mostrano ancora scorci suggestivi verso i bastioni dell’antica Rocca, mentre antiche chiese raccontano la viva anima polare del quartiere. Nella parte verso ponente la città sembra ancora oggi affacciarsi come da una balcone sulle imponenti mura etrusche della Cupa, per poi diramarsi in vicoli tortuosi. Dalla porta etrusca della Mandorla e da Porta San Giacomo si sviluppava la strada regale verso Orvieto.

La “via regalis” e il contado
La strada regale verso Orvieto nel corso dei secoli ebbe grande importanza, specie nel Medioevo, quando la corte papale la usava per recarsi a Perugia. La via attraversava zona fertili e ricche di acque, tra cui la zona delle Fonti di Veggio, ove è oggi la stazione. Il territorio percorso da questo asse viario, l’odierna Via Settevalli, è oggi uno dei più industrializzati dei dintorni del capoluogo umbro. Il contado di Porta Eburnea dalla città si allungava in direzione sud-ovest verso Città della Pieve e comprendeva aree oggi ad alta densità abitativa come San Sisto, San Andrea delle Fratte, Ponte della Pietra, Prepo, Castel del Piano e poi i castelli e le ville rurali di Pila, Spina, San Biagio della Valle, Castiglione della Valle, Pieve Caina.

Il simbolo del rione
Il primo simbolo del rione fu il cervo, animale che nella Bibbia (Salmo 41) evoca l’anelito dell’anima umana a Dio.
A partire dalla metà del XIV secolo, simbolo del rione divenne l’elefante bardato che sostiene una torre. L’animale era considerato emblema di castità e di temperanza: per questo lo si ritrova spesso anche nei soggetti legati alla Vergine Maria. La Madonna è invocata anche come “Torre d’Avorio”, in riferimento al suo essere inattaccabile dal male. La leggenda medievale secondo cui l’elefantessa partoriva il suo piccolo nell’acqua di una palude, mentre il maschio faceva la guardia per scacciare il drago minaccioso, conferisce al simbolo dell’elefante un profondo significato cristologico e mariano.
Il colore del rione è il verde.

Il santo protettore: San Giacomo il maggiore
Il santo protettore del rione, sin dal Medioevo, è San Giacomo Maggiore, titolare della parrocchia più antica della zona. Giacomo, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, fu chiamato da Gesù fra i primi. È sempre messo fra i primi tre apostoli. Pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, con lui viene soprannominato «Boanerghes» da Gesù. Primo tra gli apostoli, subisce il martirio per decapitazione, ad opera di Erode Agrippa I, nel 42/43. Secondo la tradizione, San Giacomo fu l’evangelizzatore della Spagna, dove venne trasportato il suo corpo, il cui ritrovamento nel secolo IX a Compostella, in Galizia, diede origine a un culto straordinario, che continua ancor oggi. La devozione a San Giacomo “matamoros”accompagnò il processo della “reconquista”, la liberazione della Spagna dal dominio islamico.

FUORI PORTA: LA CHIESA DI SANTA GIULIANA

Il monastero
Il monastero fu fondato nel 1253 dal cardinale Giovanni da Toledo, personaggio molto influente nella corte papale, appassionato promotore della riforma cistercense. Numerose giovani dell’aristocrazia perugina lo arricchirono con le proprie doti: crebbe molto rapidamente il suo patrimonio terriero, tanto che in 50 anni risulta tra i più importanti monasteri della regione. Le monache cistercensi conservavano la reliquia del capo di Santa Giuliana e un anello appartenuto a san Tommaso vescovo di Canterbury. Dal XV secolo inizia un lento declino, che culminerà nel periodo napoleonico, quando la chiesa fu adibita a granaio e il patrimonio venne disperso. La chiesa è stata riaperta al culto nel 1937; dal 1993 il monastero è sede della Scuola di Lingue dell’Esercito.

Il cortile del leccio
Dal lato sinistro della chiesa un portale del 1200 immette nel “Cortile del leccio”, zona adibita un tempo a magazzini e servizi. Al centro vi è l’albero secolare di trecento anni, la cui chioma misura ventiquattro metri di diametro; esso stesso è un monumento protetto. Nel passaggio che conduce al grande chiostro (nel lato sinistro),è quanto rimane del primitivo chiostro duecentesco con volte a sesto acuto e capitelli romanici. Al lato destro del primitivo chiostro, nella sala conosciuta come la vecchia chiesa, sono conservati affreschi post-giotteschi del XIV sec. raffiguranti la deposizione di Gesù dalla croce, una crocifissione e Cristo alla colonna. Queste pitture risultano un importante documento sulla fase di passaggio dalla maniera bizantina al nuovo linguaggio gotico-giottesco in area perugina.

Il chiostro
Il grande chiostro costituisce il nucleo principale di tutto il complesso ed è tra i più alti esempi di architettura cistercense in Italia. Attribuito al maestro eugubino Matteo Giovannello detto il Gattapone (1376), è realizzato in laterizio ed è impreziosito da elementi in pietra. È composto di due ordini, il primo ha le arcate a sesto acuto; l’altro è caratterizzato da arcate a tutto sesto con all’interno finestre trifore sormontate da rosoncini. I capitelli sono tutti diversi tra loro e alcuni sono figurati. Gli artefici di tali sculture sono probabilmente maestranze lombarde, come dimostrano la forte evidenza plastica e la vivacità espressiva. Il primo capitello all’angolo del chiostro, in prossimità della scalinata, riporta i ritratti dei costruttori o i fondatori dell’ordine; nello spigolo è inoltre rappresentata la Badessa che ha commissionato l’opera. Al centro del giardino è il pozzo-cisterna poligonale del 1466, dove confluivano le acque piovane.

La chiesa
La bellissima facciata è realizzata in travertino bianco e in ammonite rosa del Monte Subasio, con il classico motivo decorativo quadrellato. Spicca l’ampio ed elaborato rosone diviso in due cerchi, sostenuti da archi e colonnette gotiche scolpiti con gli stessi marmi utilizzati nella facciata. Il suo valore simbolico è assai importante per comprenderne il messaggio: la rotonda è allegoria del Sole, immagine di Cristo che dona la luce vera alla sua Chiesa. Nel nome e nell’aspetto c’è un riferimento anche alla rosa, fiore sacro fin dall’epoca classica, che nel Medioevo (cf. Dante nel Paradiso) diventa il paradigma del Regno dei Cieli, al cui centro c’è Dio e intorno, disposte come petali, le anime dei santi e dei giusti. L’interno della chiesa è spoglio ed essenziale.

Il campanile
Il campanile, elegantissimo, è costruito in laterizio e si articola su due ordini, il primo dei quali ha le aperture a bifora, mentre l’altro ha una spaziosa monofora impreziosita all’interno da esili colonnine marmoree. Conserva la cuspide ottagonale gotica anche nella decorazione a gattoni. Il numero otto alla base della costruzione della guglia è qui altamente simbolico, in quanto fa riferimento all’ottavo giorno, quello della risurrezione dai morti. L’intero manufatto può essere quindi interpretato come un “dito” che indica il destino dell’uomo: il cCielo.

I cistercensi
L’ordine cistercense fu fondato nel 1098 a Citeaux da alcuni monaci benedettini che intendevano osservare più rigidamente la Regola. La riforma era animata da ideali di povertà, semplicità e lavoro manuale. I Cistercensi furono protagonisti nei secoli XII e XIII di una rifioritura della vita monastica, dando un profondo contributo alla civiltà europea in tutti i suoi aspetti: dallo spirituale, all’economico, dall’artistico al sociale. I monaci conducevano una vita di preghiera e penitenza, contraddistinta dall’austerità e dal lavoro manuale. Grandi agricoltori, bonificarono terre in tutta Europa e introdussero migliorie agrarie importanti. Grande diffusore dell’ordine fu San Bernardo da Clervaux, cui si devono ben 68 nuove fondazioni. In Italia, i centri più importanti dell’ordine furono l’Abbazia di Chiaravalle a Milano e l’Abbazia di San Galgano nelle campagne senesi.

PRIMA STATIO: L’EX CHIESA DI SAN GIACOMO

La parrocchia
In antico la parrocchia era denominata San Giacomo in Porta Eburnea o San Giacomo delle Cinque Piaghe. La sua esistenza è documenta sin dal 1246, quando probabilmente vi era solo una piccola cappella dedicata al santo patrono di viandanti e pellegrini lungo l’importante via verso Orvieto. Fu il Cardinale Fulvio Della Corgna a ridefinire i confini della parrocchia, che fu ingrandita anche in virtù della ridefinizione urbana dell’area in seguito ai lavori per la Rocca. Nel 1528, durante un’epidemia, questo luogo venne adibito a lazzaretto. Il titolo è passato all’attuale chiesa dopo il 1861, quando i frati Minimi erano partiti da Perugia a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi da parte del nuovo governo italiano.

La chiesa
La chiesa di san Giacomo, oggi usata come sede della rivendita Agesci, è riconoscibile dal bel portale in travertino con sopraluna ad arco e tre palme decorative. La chiesa era di piccole dimensioni: sul’altare era conservato un Crocifisso ligneo tenuto in grande venerazione da una Compagnia di laici detta delle Cinque Piaghe. Ogni venticinque anni, il Venerdì Santo, il venerato crocifisso veniva portato in processione per le vie del rione.

Il movimento dei Bianchi e la Confraternita delle Cinque Piaghe
L’istituzione della Compagnia è da ricollegarsi probabilmente al movimento dei Flagellanti Bianchi, i quali veneravano le piaghe di Gesù come segni del suo amore. Il movimento dei Bianchi è un grande fenomeno di devozione popolare: nasce nell’Italia di fine ‘300, afflitta dalla peste e da numerosi conflitti sociali e politici. Al grido di “pace e misericordia” gli aderenti, vestiti di bianco, si spostano di città in città al seguito di crocefissi pregando e cantando laudi. Grande è il successo dell’iniziativa: cessazione di conflitti locali, riconciliazioni fra fazioni avverse, liberazione di prigionieri, remissione di debiti, sospensione di condanne e di pene. La Confraternita perugina partecipava annualmente all’adorazione in Duomo per le Quarantore: gli uomini la Domenica delle Palme e le donne il Martedì Santo.

SECONDA STATIO: LA CHIESA DI SANTO SPIRITO

Il convento
I Padri Minimi di San Francesco di Paola si stabilirono a Perugia per volere del vescovo Francesco Bossi. Acquistata la terra per fabbricare il convento, il giorno 12 giugno 1576 ne presero possesso accompagnati in processione dalle autorità cittadine, con una grande concorso di popolo. I lavori iniziarono nel 1579, ma per mancanza di risorse furono sospesi. Ripresero dopo 70 anni, realizzando il progetto di fra’ Giovanni Francesco Vezzosi da Pistoia, il quale fu il primo ad essere seppellito nella nuova chiesa. Insigni benefattori furono il vescovo Lucalberto Patrizi e il dottore Califfo Baccialla.

La chiesa
L’esterno della chiesa si caratterizza per la facciata incompiuta, che esprime l’austera pratica di vita dell’ordine dei Minimi. In origine la chiesa aveva otto altari, di cui rimangono gli ornamenti dipinti a tempera. Il terzo altare sulla sinistra custodisce l’immagine di San Francesco di Paola, ancora oggi molto venerata dalla comunità calabrese presente in città. Sull’altare vicino all’ingresso della sacrestia vi è un immagine di San Giacomo Maggiore, proveniente dalla ex chiesa di San Giacomo. Sull’altare maggiore vi è la pala della Pentecoste, dipinta da Lazzaro Baldi. Dopo il Concilio di Trento il culto verso lo Spirito Santo conoscerà una grande diffusione anche grazie ai nuovi ordini religiosi, che auspicavano un’unione più intensa con lo Spirito di Dio, in modo da rendere vivo e presente il messaggio dell’amore di Cristo.

San Francesco di Paola
Francesco nacque a Paola, in Calabria, nel 1416: gli fu imposto il nome in onore del santo d’Assisi, alla cui intercessione era stato attribuito il suo concepimento. Adolescente, iniziò un lungo pellegrinaggio che lo portò a visitare Roma, Assisi, Montecassino e, soprattutto, l’eremo di Monteluco, dove si trattenne un periodo. Tornato nel suo paese natale, visse come eremita per cinque anni. Attorno a lui si formò quindi presto una piccola comunità di eremiti, ai quali Francesco impose uno stile di vita rigidissimo, fatto di digiuni e penitenza. Guadagnatosi fama di taumaturgo, Francesco fu inviato da papa Sisto IV alla corte del re di Francia Luigi XI, che era stato colto da un colpo apoplettico. Francesco, trattenuto in Francia dopo la morte del re, continuò a dedicarsi alla vita dell’ordine e avviò un periodo di rapporti favorevoli tra il papato e la corte francese. Morì nei pressi di Tours il 2 aprile 1507; fu canonizzato il 1 maggio 1519 da papa Leone X.

L’ordine dei minimi
Dal 1435 Francesco inizia a edificare celle ed eremi; quindi, con il sostegno dell’arcivescovo di Cosenza Pirro Caracciolo, un grande convento a Paola. Essendosi diffusa la fama di Francesco, nel 1467 papa Paolo II inviò un prelato a indagare sulla sua vita: la relazione fu positiva, ma pose il problema di dare una struttura canonica a quello che era stato uno spontaneo movimento eremitico. Durante il soggiorno francese, San Francesco adottò una forma di vita cenobitica, come ordine penitenziale e di riforma. La Regola, basata su quella francescana, ma con forti elementi benedettini e agostiniani, fu approvata da papa Giulio II nel 1506. San Francesco di Paola volle che i suoi frati fossero detti “minimi”, superlativo di “piccolo”, in riferimento a Francesco d’Assisi che aveva chiamato “minori” i suoi frati.

TERZA STATIO: LA CHIESA DI SAN GIOVANNI DI DIO

L’ospizio
La via che costeggia il complesso un tempo si chiamava Via della Lupa Cieca e poi via dei Cronici, per via dell’ospizio per malati incurabili che dal 1584 era annesso alla chiesa inizialmente dedicata a San Niccolò e affidata insieme al servizio ai malati dal vescovo Vincenzo Ercolani all’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio detto dei “Fate Bene Fratelli”. Essi avevano la loro prima sede in porta Sant’Angelo, ma furono presto trasferiti in questa parte della città dove gli vennero affidati i malati incurabili che non potevano più essere assistiti dal vicino Ospedale della Misericordia. L’ospizio, fu ampliato e ristrutturato nell’Ottocento e cessò la sua attività nel 1996.

La chiesa
La piccola chiesa, intitolata inizialmente a San Nicola (Niccolò), conserva affreschi del XVI e XVII secolo. Nell’altare maggiore è la Madonna con San Giovanni di Dio e San Giovanni Evangelista protettore dell’ordine, l’opera è di Paolo Laudati e rappresenta un valido esempio della pittura accademica perugina del XVIII secolo. Nella sacrestia c’è una lunetta con un affresco proveniente dalla facciata raffigurante la Vergine e Santi Nicolò e Giovanni di Dio. Tutta la chiesa all’interno è stata decorata in stile neogotico durante l’episcopato del cardinale Gioacchino Pecci. La facciata molto semplice, ha il tetto a doppio spiovente con campaniletto a vela. Nella lunetta c’è una maiolica moderna con l’iscrizione “San Joannes de Deo”, raffigurante il santo e un malato.

La melagrana
Nell’immagine sovrastante la porta d’ingressi della chiesa, interessante è la presenza della melagrana, frutto che è divenuto simbolo dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio. Sin dall’epoca classica, il frutto, è associato alla vita che vince la morte; secondo il mito, infatti, fu il dio degli Inferi Ade ad offrirlo a Persefone in modo che potesse sempre tornare nel mondo dei morti senza morire. In epoca cristiana, la melagrana dunque è spesso associata dagli artisti alla figura di Cristo, che con la sua morte e risurrezione ha donato la vita all’umanità. In questo caso, l’immagine della melagrana assume anche valore consolatorio verso le sofferenze dei malati.

San Giovanni di Dio
Giovanni di Dio fu pastore fino a 27 anni; poi si arruolò, partecipando alla battaglia di Pavia e alla battaglia di Vienna contro i Turchi. Congedatosi, vagò per mezza Europa finché ebbe soldi, stabilendosi infine a Granada, dove aprì una piccola libreria. In seguito a una predica di san Giovanni d’Avila, cambiò radicalmente vita e iniziò ad assistere i poveri e i malati; si impegnò anche per reinserire le prostitute nella società. Il suo modo di chiedere la carità era molto originale, infatti era solito dire: “Fate del bene a voi stessi! Fate bene, fratelli!”. Progressivamente, si unirono alla sua opera anche altre persone. L’Arcivescovo di Granada gli cambiò il nome in Giovanni di Dio. Morì l’8 marzo 1550 è fu canonizzato da papa Alessandro VIII nel 1690.

I Fatebenefratelli
Sino alla morte di Giovanni, i suoi discepoli avevano formato gruppi privi di una vera e propria organizzazione; solo a partire dal 1572 divennero una comunità religiosa vera e propria. Fecero propria la regola di sant’Agostino e professarono, come quarto voto, quello di assistere gli infermi. La diffusione dei Fatebenefratelli fuori dalla Spagna si deve a fra’ Pietro Soriano, che aprì ospedali prima a Napoli, poi a Roma e, nel 1584, a Perugia. I Fatebenefratelli si diffusero nelle nazioni cattoliche dell’Europa, ma anche nelle “terre di missione”, soprattutto in America Latina ed Asia, poi, più di recente, anche in Africa e in Australia. Oltre al fondatore, i santi dell’ordine sono Riccardo Pampuri, Benedetto Menni, Giovanni Grande, i beati Eustachio Kugler e José Olallo Valdés e i settantuno martiri della guerra civile spagnola.

QUARTA STATIO: L’ORATORIO DELLA CONFRATERNITA DELL’ANNUNZIATA

La Confraternita
La presenza della “Confraternita Disciplinata dell’Annunziata” è documentata a partire nel 1334, ma l’area era già dal 1163 sede della parrocchiale di S. Bartolomeo. A partire dalla metà del XIV secolo, la piccola chiesa venne utilizzata dalla comunità delle Mantellate che si era installata nel monastero adiacente. L’oratorio era noto anche come chiesa del Cristo Morto, perché fino al secolo scorso vi si svolgeva la processione del Venerdì Santo. La “Confraternita Disciplinata dell’Annunziata” venne arricchita di molte indulgenze e lasciti, tali da permettere di sostenere le notevoli spese, tra cui quelle per lo “spedale” che forniva asilo ai pellegrini e per l’organizzazione delle due processioni della Settimana Santa. Nel 1589 la Confraternita venne aggregata all’Arciconfraternita dell’Annunziata sopra Minerva in Roma.

La chiesa
L’attuale aspetto dell’Oratorio risale al 1860, quando fu restaurato in stile neo-rinascimentale da Giovanni Santini, uno dei grandi protagonisti umbri dell’eclettismo. La facciata, presenta un vasto arco esterno circondato da putti ispirati alle terrecotte dei Della Robbia. All’interno sono visibili affreschi e decorazioni del pittore perugino Domenico Bruschi che li dipinse a cavallo dei secoli XIX e XX. L’intitolazione dell’Oratorio alla Santissima Annunziata fa di Maria la figura centrale del programma iconografico ideato da Bruschi, che decise di raffigurare, su incarico della Confraternita, nelle sei tele laterali, le storie di figure femminili della Bibbia, celebrando così in varie declinazioni la santità femminile nella storia della salvezza. Il dipinto della profetessa Anna, è probabilmente l’ultima opera di Bruschi, che tra l’altro vi si autoritrae.

Le mantellate e la Fraternità laica di San Domenico
Il laicato domenicano esisteva già ai tempi di San Domenico; come “Ordine della Penitenza” o “Ordine della Milizia di Gesù Cristo”, era addirittura preesistente all’Ordine regolare stesso. Si riconoscevano anche come “Mantellate” o “Mantellati”, per via della mantella nera, indossata in segno di austerità e penitenza. Vivevano il carisma dell’Ordine Domenicano: la predicazione ordinata alla salvezza delle anime, attraverso quattro mezzi essenziali: vita comune, penitenza, studio e preghiera. Praticavano anche varie devozioni, ancora oggi sono parte integrante della vita della Famiglia Domenicana: la devozione Eucaristica, la devozione al SS. Nome di Gesù, la devozione alla Passione del Signore e la devozione alla Madonna. Il maggior esponente delle Mantellate è Santa Caterina da Siena.

QUINTA STATIO: IL COLLEGIO DELLA SAPIENZA

Le “Sapienza” vecchia
Le “Sapienze” erano case per gli studenti poveri, sorte nel Medioevo nelle più importanti città universitarie ad opera di benefattori in massima parte ecclesiastici. Tali istituzioni svolsero un ruolo straordinario, permettendo a molti giovani di poter studiare e favorendo la mobilità tra diversi atenei. Il Collegio perugino della Sapienza Vecchia fu fondato nel 1361 dal cardinale Nicolò Capocci per accogliere gratuitamente giovani studenti di teologia e diritto; in origine era collocato nei pressi della Piazza Grande, in seguito si insediò in via della Cupa. Nel 1798, durante il regime napoleonico, l’istituzione venne sciolta: riapparve nel 1806 come “Pio Collegio della Sapienza”; nel tornò alla sede originaria in Via della Cupa. IL Collegio della Sapienza dal 1902 è gestito dall’ONAOSI (Opera Nazionale Assistenza Orfani Sanitari Italiani) e oggi è sede del Centro Formativo della stessa fondazione.

L’edificio
All’interno dell’edificio, progettato nel XIV secolo dal noto architetto eugubino Matteo di Giovannello detto il Gattapone, sono particolarmente interessanti il cortile con pozzo, il teatro e la cappella.Il cortile in laterizi e pietra calcarea è impreziosito di un elegante vera da pozzo della fine del Cinquecento e il progetto del complesso viene attribuito per l’eleganza e l’ariosità della struttura a Galeazzo Alessi. Al di sotto del cortile vi è una cisterna cilindrica profonda 18 metri realizzata dal Gattapone.

Il teatro
Il vero gioiello della struttura è il teatro, che risale agli inizi dell’Ottocento. La sala preesistente era già adibita a rappresentazioni teatrali svolte dai giovani studenti. Essa fu divisa in due parti per ricavarne un refettorio e il palcoscenico di un nuovo, raffinato teatro, più grande, concepito secondo I criteri tecnici e scenografici dell’epoca. Realizzato in legno e ghisa (materiale modernissimo per l’epoca) fu decorato con eleganti motivi floreali e arabeschi dai pittori perugini Lemmo Rossi Scotti e Matteo Tassi. In questo piccolo teatro recitò anche Rodolfo Guglielmi, divenuto poi celebre come Rodolfo Valentino. Nel foyer del teatro sono visibili resti delle antiche mura appertenenti alla primitiva struttura del collegio.

La cappella
La cappella, intitolata a San Gregorio Magno, è a navata unica; le volte a crociera sono state dipinte da Pietro Carattoli nel XVIII secolo. Di grande impatto, sulla parete dietro l’altare, è la frammentaria Crocefissione, opera probabilmente di Giottino (Pace di Bartolo) e grande testimonianza dell’influenza della nuova pittura giottesca in ambito perugino. La cappella conteneva la pala d’altare di Domenico di Paride Alfani, oggi conservsata alla Galleria Nazionale dell’Umbria, capolavoro dipinto nel 1518, raffigurante una Madonna in trono incoronata da angeli, con Bambino, San Gregorio e Nicola di Bari. Quest’ultimo è probabilmente presente in riferimento all’elemosina che fece a tre giovani ragazze povere.

SESTA STATIO: LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VALLE

La chiesa
La graziosa chiesa di Santa Maria della Valle deve il nome alla sua collocazione, al temine del ripido pendio del colle, dove anticamente si trovava un romitorio, divenuto nel XII secolo convento carmelitano. Agli inizi del Quattrocento la chiesa divenne sede della Compagnia dei Muratori che nel 1771 la dedicarono a San Marino, loro santo protettore, raffigurato insieme agli attrezzi del suo mestiere su una grande tela nella navata destra. Oggi appartiene alle Suore Oblate di San Francesco di Sales. L’interno, in stile neoclassico, conserva una tela dell’ Assunzione dipinta da Simeone Ciburri (1612 C.). Degni di nota sul retro, in Via della Luna, la piccola abside circolare, il campaniletto a vela e le bifore dell’originario edificio medievale; mentre la facciata di Via della Cupa è il risultato del restauro condotto da Ugo Tarchi nel 1922.

Santa Francesca di Sales Aviat
Léonie Aviat nacque in Francia nel 1844. A dieci anni fu affidata alle Suore Visitandine di Troyes, dove ricevette una formazione umanistica e religiosa. L’abbé Brisson, sensibile ai disagi di tante ragazze che venivano a lavorare in fabbrica a Troyes, aveva fondato delle case-famiglia per la loro assistenza. Egli espose a Léonie la sua intenzione di creare una Congregazione religiosa che portasse avanti l’opera; ella, entusiasta, nel 1868 vestì l’abito religioso, prendendo il nome di Suor Francesca di Sales. Si dedicò dapprima all’apostolato fra le ragazze operaie a Troyes, quindi organizzò a Parigi un educandato per ragazze agiate, ottenendo grande successo. Inviò le sue suore in Namibia, Africa del Sud, Equatore, Svizzera, Austria, Inghilterra e Italia, aprendo case per le giovani. Nel 1903 le leggi eversive decretavano lo scioglimento delle congregazioni religiose, spogliandole dei loro beni: la madre Aviat si rifugiò a Perugia, dove le Oblate avevano una casa sin dal 1896. Morì a Perugia nel 1914. È stata canonizzata da Giovanni Paolo II il 25 novembre 2001.

ALTRI LUOGHI DI INTERESSE

A. L’EX CHIESA DI SAN SAVINO

La piazza del circo
Piazza del Circo è così denominata per la presenza nell’Ottocento del “Circo”, o “Anfiteatro del Pallone”, addossato al corridoio della Rocca Paolina, collegamento del forte maggiore con la tenaglia, che si trovava nell’area dell’attuale Piazza Partigiani. Costruito con gradinate e palchetti dall’impresario Orazio Boccanera (tra l’altro aveva già progettato il Teatrino del Carmine, che divenne poi il cinema Modernissimo), il campo da giochi aveva lo scopo principale di evitare che le partite si svolgessero lungo Corso Vannucci, come spesso avveniva.

La chiesa
L’Oratorio della Confraternita del SS. Sacramento e di San Carlo Borromeo, istituita per volontà del vescovo Napoleone Comitoli. In seguito la piccola chiesa dedicata a San Savino fu sconsacrata e adibita a falegnameria. Oggi ospita un centro di elaborazione dati di un istituto bancario. La Parrocchia fu istituita nel 1832 dall’unione tra quella dei SS Stefano e Biagio in Porta Eburnea e quella appunto di San Savino. Venne così denominata parrocchia dei SS Biagio e Savino. In un primo tempo le funzioni rleigiose si volsero nella cappella della villa della famiglia perugina Azzi Vitelleschi, poi nella Cappella Giovagnoli in via delle Fonti Coperte (ancora esistente) e infine nel 1943 fu costruita un cappella con canonica in via Dalmazio Birago. L’attuale chiesa, erede dell’antica parrocchia perugina fu costruita negli anni 1955-1959 su disegno dell’architetto perugino Dino Lilli e consacrata dall’arcivescovo Pietro Parente nel 1959.

B. LA CHIESA DI SANT’ANGELO IN PORTA EBURNEA

Attestata già nel XI secolo e più volte restaurata, fu rinnovata in forme neoclassiche nei primi anni dell’800. Intitolata all’Arcangelo Michele, testimonia la forte devozione dei perugini verso il condottiero angelico, cui è dedicato uno dei luoghi di culto più antichi e significativi della città. Dell’antica facciata rimane solo la cornice in travertino del portale, mentre il resto è caratterizzato dalle eleganti geometrie create dalle coppie di lesene sormontate da capitelli corinzi. Nella chiesa si trova l’effige della Madonna dell’umiltà, spostata con solenne processione dall’edicola nei pressi dell’Arco della Mandorla, dopo il miracolo del movimento degli occhi (1796). La chiesa custodisce
un dipinto di Domenico Garbi raffigurante San Michele che schiaccia il demonio e un dipinto di Cristoforo Gasperi raffigurante i Santi Michele, Francesco di Sales e Orsola.

C. L’EX ORATORIO DEI SANTI CRISPINO E CRISPINIANO

Sorta nel 1613 per volontà di cinque devoti calzolai, la compagnia dedicata a San Crispino e Crispiniano è un esempio della devozione dei perugini alle figure di santi posti a protezione di diverse attività lavorative. Una volta ottenuta l’approvazione del vescovo, I confratelli, che dapprima si riunivano in una cappella messa a disposizione dai Padri Barnabiti a Sant’Ercolano e poi nella chiesa di Sant’Agata, si adoperarono per costruire una sede autonoma consacrata poi nel 1625. L’edificio ora è destinato ad attività commerciali, ma conserva all’interno tracce della decorazione ad affresco, mentre all’esterno sopra il portale è visibile il piccolo stemma di travertino raffigurante il trincetto, tipico strumento usato dai calzolai per tagliare la pelle.

D. L’EX CHIESA DEL SUFFRAGIO

L’ex chiesa del Suffragio fu realizzata nel 1639 su disegno di Orazio Alessi per volere dell’omonima Compagnia, fondata nel 1619. Scopo del sodalizio era quello di liberare le anime dei defunti dalle pene del Purgatorio, nella convinzione che questa pratica non solo giovasse alle anime suddette, ma ancora di più a quelli che intercedevano per loro; infatti, una volta giunte in paradiso, quelle anime avrebbero beneficato chi per loro aveva pregato. All’interno è ancora visibile un quadro del Cavallucci del 1793 con in basso raffigurati alcuni membri della compagnia, vestiti con un abito di tela bianca, un cordone nero e una mantellina nera e cappello di feltro nero. Oggi la chiesa, sede di attività commerciali conserva all’esterno un piccolo offertorio in pietra con la scritta “per le anime del purgatorio”.

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