LA VIA DI PORTA SANT’ANGELO

Dal Tempio di San Michele Arcangelo alla Cattedrale di San Lorenzo

Carta (provvisoria) Porta Sant'Angelo

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PORTA SANT’ANGELO

Il rione
Il Rione si sviluppa lungo la direttrice che da piazza IV Novembre, attraverso l’Arco Etrusco, giunge alla Torre del Cassero. L’area più interessante perché più densamente popolata è quella lungo via della Lungara, dal 1871 ribattezzata Corso Garibaldi, che costituisce la spina dorsale di sviluppo del borgo ed è caratterizzata da abitazioni prevalentemente popolari tardo duecentesche e trecentesche e insediamenti religiosi. La via è di struttura molto stretta e allungata, serrata da un’edilizia minuta e compatta. Sono ancora forti i caratteri popolari del quartiere: le case si sviluppano in schiera, organizzate lungo il Corso e sui brevi vicoli laterali, che si innestano a pettine sulla via principale. Sul retro delle case si aprono piccoli orti e cortili, che dovevano servire a soddisfare le prime esigenze alimentari delle famiglie residenti. I nomi delle stradine laterali ricordano i lavori artigianali e commerciali svolti dalla popolazione residente.
Il quartiere prende il nome dall’antichissimo tempio dedicato a San Michele Arcangelo, da cui è ripresa anche la simbologia dello stemma del rione, con l’immagine dell’Arcangelo, rappresentato anche con le sole due ali e la spada nel mezzo. Il fondo dello stemma è rosso, colore generalmente riferito alla forza della terra ma anche al fuoco, in relazione alla grande quantità di legna che vi passava. Questo secondo riferimento si trova in alcune versione dell’emblema del rione che alla spada sostituisce una clava lignea o un ramo d’albero.
Il borgo si forma fuori delle mura etrusche tra l’XI e il XII secolo, in seguito alla grande crescita demografica, ed ebbe come polo di aggregazione il convento agostiniano. Nei primi decenni del Trecento venne costruita la nuova cinta muraria, segno della piena integrazione dell’area nella città; il borgo è racchiuso, quindi, tra le due cinte murarie della città: è fuori da quella etrusco-romana ma inglobato in quella medievale. Nonostante ciò mantenne la definizione di città bassa popolare, contrapposta alla nobile città alta. Un ulteriore sviluppo nel ‘400 si verifica grazie a nuovi flussi migratori dal contado. L’impronta caratteristica di questo percorso è ben percepibile in Corso Garibaldi, dove si può ammirare un esempio di casa medievale in muratura di pregio, con fronte a doppio spiovente e finestra ad arco; oppure una casa con scaletta esterna; altri indizi dell’epoca medievale sono riscontrabili nei numerosi portali in pietra, architravi scolpiti, edicole votive e soprattutto nelle c.d. “porte del morto”, cioè porte rettangolari o con una terminazione ad archetto, alte e strette, rialzate di qualche centimetro rispetto al livello stradale, che si pensava fossero usate per far uscire le casse da morto. In realtà la doppia entrata è tipica delle abitazioni medievali, composte da una parte abitativa, con ingresso più alto rispetto la strada, e da cui si accedeva immediatamente ad una scala che portava al piano superiore, e una parte pubblica, con accesso a livello stradale, per l’attività commerciale della famiglia. Oggi in molti casi in cui le abitazioni presentavano la doppia entrata; la c.d. “Porta del Morto” è divenuta l’unico ingresso delle case e delle attività commerciali, munite di gradini in muratura per rendere più agevole l’accesso, mentre le aperture più ampie sono state tamponate.
Altra caratteristica è la frequenza degli insediamenti monastici e assistenziali, necessari a offrire alla popolazione da poco inurbata punti di riferimento religiosi nelle vicinanze, senza dover ricorrere alle chiese del centro storico.: il monastero di Sant’Agostino con annesso Oratorio della Confraternita dei Disciplinati, l’ex ospedale del Collegio della Mercanzia, l’ex Monastero di San Benedetto, la chiesa e il monastero di Santa Caterina e il Monastero della Beata Colomba; infine il Monastero di Sant’Agnese. In prossimità della Porta, la chiesetta paleocristiana di Sant’Angelo. Oltrepassando la Porta, degni di nota sono: San Matteo degli Armeni, San Francesco di Monte Ripido e San Francesco delle Donne. Il Rione è spesso definito “delle educande” in quanto ospitava ben cinque dei dodici monasteri operanti a Perugia per la tutela dell’educazione femminile, fino almeno alla metà del XIX secolo. Tra i più importanti ricordiamo il Conservatorio della Carità, istituito nel 1562, volto a provvedere all’educazione delle bambine allontanate dalle madri disoneste, in vista della monacazione o del matrimonio. Altro istituto degno di memoria, la scuola di maestre pie, istituita nel 1816 per educare a titolo gratuito le fanciulle delle classi indigenti o esposte per strada.

La cappella della Madonna della Stella
La piccola cappella della Madonna della Stella, nei pressi del Tempietto di Sant’Angelo, conserva l’immagine della Vergine con il Bambino, entrambi avvolti in un manto illuminato dalla luce di una stella, ritenuta miracolosa. Il dipinto, molto semplice, risale al XVI secolo ma è stato ridipinto successivamente. In origine era un’edicola isolata che in seguito è stata inglobata negli edifici costruiti con l’aumentare del borgo. L’edicola è oggetto di grande devozione da parte della gente che risiede nel borgo: all’interno sono esposte decine di fotgrafie ex-voto. Sull’altare vi è inoltre un busto di Cristo in legno. Oggi è di proprietà privata e viene riaperta al pubblico soltanto in occasione della festa di San Michele Arcangelo, il 29 settembre. In questa data, considerata la festa del patrono del borgo, si svolge anche una solenne cerimonia religiosa al Tempietto di Sant’Angelo. Altre festività importanti sono quella di Sant’Agostino, il 28 agosto, di Santa Rita, il 22 maggio, e la Processione in onore della Madonna Ausiliatrice, tutte con sede nel Convento di Sant’Agostino.

FUORI PORTA: IL CONVENTO DI MONTERIPIDO

La storia del convento
Il nome di Monteripido deriva dal latino mons ruitus, cioè monte scosceso, e indica il colle a nord del centro di Perugia, appena fuori Porta Sant’Angelo. All’inizio degli anni trenta del XIII secolo vi si stabilì il Beato Egidio d’Assisi, il cui sarcofago è conservato nell’Oratorio di San Bernardino, presso P9orta Santa Susanna. Vi rimase sino alla morte, avvenuta il 23 aprile 1262. Alcuni anni dopo, il 14 febbraio 1276, Giacomo di Bonconte Coppoli donò ad Andrea Buccarello, procuratore dei Frati Minori di Perugia, con sede a San Francesco al Prato, la proprietà di Monteripido con tutti gli edifici e i terreni. La donazione prevedeva delle condizioni ben precise: Giacomo e la suocera Altamaitina avrebbero continuato a risiedere nel luogo donato per il resto della loro vita, al termine della quale la proprietà sarebbe passata al Convento di San Francesco al Prato, a patto che avessero continuato ad abitarvi per esercitarvi il culto. Nell’eventualità di una cessione ad estranei, i frati avrebbero perso i diritti di proprietà, che sarebbero passati al Convento di Monteluce.Da un documento del 1290, sappiamo che la fraternità eremitica del Monte aveva un proprio guardiano, frate Giovanni da Deruta. L’anno seguente ebbero un riconoscimento di papa Niccolò IV che nella Bolla Licet Is del 5 giugno 1291 citava il luogo del Monte, come una delle chiese francescane dell’Umbria in cui poter ricevere particolari indulgenze durante alcune festività. Nella documentazione è attestato con il nome di Monte di Sant’Egidio, almeno fino al 1310.
I frati del Monte, a metà del XIV secolo, influenzati dalla ricchezza di Perugia e dal controllo che ha sul territorio circostante, decidono di ampliare la cappella-oratorio, esistente già al tempo del Beato Egidio e ora modificata per essere più comoda per la comunità.
Viene abbattuto il locale cucina-refettorio con grotta sottostante e viene costruita la prima chiesa, la cui superficie corrisponde orientativamente all’attuale coro. La facciata era decorata da un piccolo rosone con al centro foglioline stilizzate, un unico portale a tutto sesto con stipiti in pietra. L’oratorio dei Coppoli diventava la sagrestia. Dietro l’abside, sul luogo della cella del Beato Egidio è edificato nel medesimo arco di tempo, l’oratorio in memoria del Beato.
I due edifici in pietra occupati in origine dall’abitazione della famiglia Coppoli, sono innalzati di un piano per farne il dormitorio e al piano inferiore i locali sono destinati agli usi più svariati: refettorio, cucina, dispensa, depositi, officine, ovvero tutti quegli spazi indispensabili ad una comunità in espansione come quella degli ultimi del XIV-inizi del XV secolo.
Di questa fase rimangono: per la sagrestia le murature esterne in pietra calcarea rosa e bianca e i riquadri in travertino delle finestre; le murature interne dell’oratorio del beato Egidio con l’affresco e la sinopia delle Stimmate di San Francesco, il muro nord-ovest del chiostro bernardiniano.
Tra il 1424 il 1425 nuovi interventi per mettere in sicurezza la chiesa interessano soprattutto l’aggiunta di un’abside tardo gotica e l’allungamento dell’unica navata. Nel convento invece negli stessi anni si completa il lato nord-est, permettendo lo sviluppo in altezza e lunghezza della costruzione precedente, che al piano superiore, divisa in celle diviene sede del noviziato. La rapida crescita della comunità non si arresta e si rendono necessari altri lavori di ampliamento. Vengono costruite alcune cappelle gentilizie e devozionali che si estendono nella parte sinistra del sagrato fino alla facciata quattrocentesca, costruita nel 1499, come ricorda l’incisione in un laterizio sotto la tettoia a coppi. Nello stesso periodo c’è un ulteriore avanzamento della facciata e il conseguente allungamento della navata con l’inglobamento all’interno del volume della navata delle due cappelle gentilizie. Tra il 1520 e il 1530 la chiesa registra un ulteriore miglioramento decorativo con la commissione di nuove tavole dipinte e la costruzione di nuove cappelle, che però rimangono ad un altezza inferiore della copertura della navata. Soltanto alla fine del XVI secolo, si realizza una copertura unica. L’8 giugno 1594 una nuova ristrutturazione affidata a Giovanni Battista di Salvatore da Perugia, realizza una nuova copertura a doppia falda asimmetrica, in modo da coprire la navata e le cappelle. La pianta della chiesa viene configurata come una “B”; l’irregolarità e l’asimmetricità della nuova struttura creata sarà per i frati minori motivo di forte insoddisfazione e porterà ai nuovi interventi ottocenteschi. La trasformazione definitiva della chiesa avviene tra il 1858 e il 1860, grazie ad un lascito della contessa Laura Montesperelli. L’esecuzione dell’opera è affidata all’architetto Francesco Trinci; i lavori iniziano ufficialmente nel settembre 1858. Nonostante la richiesta dei committenti di non intaccare in nessun modo le strutture già esistenti, il progetto rende necessario la demolizione e la ricostruzione in misura ridotta dell’ala vicino al chiostro bernardiniano e la distruzione delle lunette con scene della vita del Santo fondatore. Sono anche rimossi i ritratti di personaggi notabili, quali letterati, medici e avvocati che avevano dato lustro alla città con le loro opere. È anche abbassato il piano di calpestio della chiesa per far risaltare maggiormente il presbiterio: ciò tuttavia comporta l’eliminazione delle pietre tombali dei sepolcri. La chiesa viene ancora allungata inglobando il porticato esterno. All’unica navata ne vengono aggiunte due laterali più piccole e basse. Le navate hanno ora una copertura in stile neogotico a crociera, con costoloni che poggiano su mensole.
Dell’epoca Quattro-Cinquecentesca rimangono il coro, la sacrestia, la cappella di San Francesco, una parte della Cappella dell’Immacolata e quella del Santo Sepolcro. Nel 1855, al ritorno dei Frati, alcuni anni dopo la parentesi napoleonica, ci si dedica alla ristrutturazione dell’edificio, affidando la direzione dei lavori a Gualaccini. Il pittore decorò le vele di azzurro marino intervallato da stelle d’oro. Le pareti e i pilastri sono decorati a fasce alterne di colore rosa pallido e marrone scuro, di gusto senese.

La Via crucis
All’inizio della salita che porta al convento, sulla sinistra si incontrano un piccolo edificio e un’edicola con l’immagine della Vergine con i Santi. Sulla destra, salendo, per la scalinata, si allineano le undici capelle della Via Crucis costruite tra il 1633 e il 1636. Queste sono costruite in mattoni con un piccolo tetto a coppi e una nicchia centrale. Le pitture che adornavano le cappelle, a causa delle intemperie, sono svanite. La fraternità del Monte chiese al Collegio della Mercanzia di impegnarsi per il rifacimento delle pitture; la richiesta non solo viene accolta, ma al Collegio si affiancano varie famiglie nobili perugine che in cambio di un finanziamento, ottengono di apporre nella Cappellina il loro stemma. I dipinti erano opera dell’artista fiorentino Giuseppe Nicola Nasini, che realizza nel 1712 affreschi con il tema della Passione oggi quasi del tutto scomparsi e irrecuperabili. Nel 1990 l’intera opera decorativa fu sostituita da Fortunato Vatti, con bassorilievi in terracotta.

Il cortile della chiesa
Percorsa la ripida strada si arriva al cortile-sagrato al centro del quale un tempo si innalzavano tre croci per la XII stazione della Via Crucis; qui si erge la chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi. A destra del portone d’ingresso del convento, sotto il loggiato settecentesco, c’è un’iscrizione con apposto lo stemma della famiglia Coppoli:

IACOBO DE COPPOLIS BONCONTIS FILIO.
QUOD SUBURBANUM HOC SUUM
B. AEGIDI HOSPITIO RELIGIOSORUM
FF. MINOR DIVI FRANCISCI
AD AREAM TEMPLI ET COENOBII
AC HORTORUM COMMODITATEM DONAVERIT
A.MCCLXXVI.
RAYNERIUS DE COPPOLIS MONTIS AFFOLLONICI MARCH.
GENTILI SUO
AVITAE LIBERALITATIS MONUMENTUM
RESTITUIT.
MDCCXLIII.

A sinistra una porta immette in una stanza, oggi chiamata Sala S.Antonio, dove un tempo era esposto il Presepe in terracotta di Carlo Fantacchiotti, spostato in seguito alle requisizioni e poi andato perduto. La parete d’ingresso a questa sala è arricchita da due lastre in terracotta con altorilievi di Tino Agnini, realizzati nel 1992: a sinistra il Beato Egidio esalta i privilegi di Maria e a destra il Beato Egidio in estasi. Lungo questa parte di muro si allineavanono una serie di cappelle : la Cappella dei Martiri francescani, uccisi in Marocco nel 1220; la Cappella dei Re Magi; la Cappella della Natività, sempre affrescata da Perugino ma in pessimo stato conservativo e infine la Cappella del Santo Sepolcro o della Vergine dolente, tappa conclusiva della Via Crucis. Ambedue queste cappelle sembra siano state affrescate da Perugino; non se ne ha la certezza perché parte delle strutture architettoniche è stata inglobata nella muratura della Biblioteca e la parte restante è stata demolita per far posto alla scala esterna per la comunicazione dei due livelli della biblioteca stessa. La Cappella è a pianta rettangolare coperta da volta a crociera e munita di pilastri di ordine dorico. Oggi è impraticabile a causa dell’occupazione dell’intera cubatura da parte di un Presepe monumentale. Per immaginarci l’aspetto originario ci si può basare sugli appunti descrittivi di Luigi Carattoli, che ricorda che nella parete c’era un quadro ad olio centinato che rappresentava la Santissima Annunziata , genuflessa con il volto rivolto verso l’angelo annunciante, pure inginocchiato. In alto una gloria di angeli di Benedetto Bandiera. Al centro della Cappella il sepolcro della famiglia Ansidei di Perugia. Quest’ultima cappella è stata inglobata all’interno della chiesa nella seconda metà del XIX secolo. L’unica che oggi rimane è la Cappella della Natività.
L’ambiente a destra dell’ingresso era la Cappella di San Sebastiano, così chiamata per l’immagine del Santo affrescata, di cui è testimonianza fin dal 1476. Oggi è detta sala Fantosati. In questa si trovano due aperture quadrangolari, ovvero i “pili”, uno per gli uomini e uno per le donne,, chiusi da semplici lastre di pietra, attraverso i quali venivano calati corpi esanimi dei devoti e sepolti nell’ambiente sottostante. In origine era il sepolcreto dei defunti del Terz’Ordine, a cui più tardi si aggiunsero anche i corpi di devoti laici.

Il campanile
La torre campanaria è situata tra il chiostro di San Bernardino e quello di San Giovanni da Capestrano. Il progetto è dell’architetto Germano Bartoccini. All’interno della cella campanaria ci sono due campane: una in la con un diamentro di 45 cm per 50kg e un’altra in sol con un diametro di 50 cm per 70kg. Quest’ultima è stata rifusa e presenta l’invocazione in latino: sonet vox tua in auribus nostris e l’effige in bassorilievodi tre santi: Francesco, Antonio e Luigi di Gonzaga.

La facciata della chiesa
È il risultato del rifacimento ottocentesco in stile neoromanico, a quattro spioventi con tre portali, di cui quello centrale sormontato da ghiere concentriche e da un grande rosone , poi chiuso per far posto ad un grande organo nella controfacciata. Vi sono inoltre due piccoli rosoni che illuminano le navate laterali e due bifore che illuminano quella centrale. Il prospetto è realizzato con mattoni a vista. Sopra il portale una lapide ricorda la ricostruzione ottocentesca, la benefattrice e l’architetto:

HONORI ET MEMORIAE
LAURAE DONNINAE COMITISSAE MONTISPERELLAE,
QUAE SCUTATI BIS MILLIBUS ADTRIBUTIS LEGATIS.
INFORME TEMPLUM LAXANDUM AMPLIANDUMQUE DECREVIT.
FRANCISCALES OBSERVANTESAD
DIAGRAMMA IONN. THOMAE STAMIGNI PERUSINI.
OPERE BIENNIO PERACTO.
GRATI POSUERUNT. A.D. MDCCCLX.

Sul timpano dell’antica facciata cinquecentesca, protetto da una mensola sporgente, c’era l’affresco di Giovanni di Pietro detto Lo Spagna, raffigurante San Francesco che riceve le Stimmate. Si tratta di un un tema profondamente caro alla spiritualità francescana e molto frequente nell’iconografia. Un importante esempio di confronto è quello conservato in San Damiano, ad Assisi, opera di Eusebio da San Giorgio (1507)l Santo era rappresentato nella parte sinistra del quadro, genuflesso e con le braccia aperte rivolte al cielo mentre nella parte destra in secondo piano, due frati seduti, di cui uno legge e l’altro si ripara gli occhi dalla luce splendente del crocifisso. Il paesaggio sullo sfondo è rigoglioso e l’orizzonte è rosseggiante, segno della nascita di un nuovo giorno. Nell’ampio orizzonte un lago con una barchetta e le colline degradanti. In cima ad una di queste, nella parte destra del quadro, c’è una piccola chiesetta coperta da un tetto a due falde, sulla cui facciata un rosone, un portale a tutto sesto con doppia ghiera e un campanile a vela. Dall’intero complesso escono raggi di luce rossastra. Il pittore ha voluto richiamare qui l’attenzione per sottolineare la somiglianza di questa con la chiesa del Monte. L’esecuzione è databile negli anni tra il 1501 e il 1505, negli stessi anni in cui il maestro Vannucci dipingeva la vicina Cappella della Natività. Questo affresco è stato asportato nel 1859, quando l’ingegnere Stamigni decide l’abbattimento dell’intera facciata. L’opera viene strappata e dalla facciata e trasportata su tela e posta nella sagrestia, insieme all’affresco, anche esso strappato dall’omonima cappella, del Presepe di Perugino. A seguito delle requisizioni demaniali, i due affreschi sono conservati alla Galleria Nazionale dell’Umbria.

La cappella esterna della natività
L’edificio è l’unica costruzione sopravvissuta al rifacimento Ottocentesco. ha un unico ambiente coperto da volta a crociera in mattoni e vi si accede da un’ampia porta dal chiostro. La parete destra a ovest è stata alterata da due aperture, una delle quali rende possibile la vista del Presepe permanente che occupa per intero la vicina Cappella dell’Annunziata, ancora della famiglia Ansidei che conserva il sepolcro di famiglia sotto il pavimento, ricordato da una lastra e scritta dedicatoria. Sulla parete sud, proprio di fronte all’entrata Perugino aveva realizzato l’affresco con soggetto il Presepe. L’affresco oggi è stato staccato, è conservato alla Galleria Nazionale.

L’interno della chiesa
La chiesa presenta una pianta a tre navate priva di transetto, divisa in quattro campate, la cantoria e l’abside. Il parato murario dell’abside è decorato con raffinati panneggi policromi. La navata centrale è illuminata da otto finestroni strombati e rotondi divisi in sei cerchi più quello centrale a formare una decorazione floreale; i bordi del finestrone ogivale del coro e della controfacciata sono abbelliti da fasce con disegni geometrici gotici. I quattordici banchi della chiesa sono stati donati qualche decennio fa dalla parrocchia di Prepo.

Il coro
Quello originario, della prima metà del XV secolo è andato perduto durante le soppressioni dello Stato unitario (1865-1874). Ci rimane soltanto una descrizione di Luigi Carattoli: era in legno di noce con due ordini di stalli, 34 in quello superiore e 26 in quello inferiore riconducibile al periodo tardo gotico, coevo quindi alla struttura dell’abside, con volte a crociera costolonate e decorate con disegni geometrici. Il coro oggi visibile proviene dall’oratorio della nobile Compagnia dei Disciplinati di San Domenico di Perugia; i frati, una volta rientrati, avevano preferito riadattare questo, acquistato nel 1878 dall’oratorio domenicano, piuttosto che realizzarne uno ex novo. Nel 1910, infatti, al primo giro di stalli ne fu aggiunto un secondo, più in basso, in modo da renderlo quanto più simile al coro originario. Questo è costituito dagli scanni superiori con braccioli sagomati e specchiature nei dossali, divisi tra loro da paraste, e gli scanni inferiori con delle specchiature più semplici. Alla sommità della semicirconferenza del coro è una cornice modanata aggettante, sorretta da mensole intagliate. I sedili dell’ordine inferiore, sorretti da mensoloni intagliati, sono ribaltabili. Al centro dell’abside semicircolare, coperta da una volta a costoloni sostenuti da colonnine pensili su peducci, si trova il maestoso leggio settecentesco in legno di noce; è a sezione triangolare ed è ornato da volute. Nella parte superiore è decorato da motivi vegetali e a volute e ancora sopra ha lo stemma francescano, che nella parte anteriore della sommità invita alla lode con un espressione latina. Laus tibi Domine rex aeternae gloriae.

L’altare maggiore
Le requisizioni che si susseguono nel corso dell’Ottocento – nel 1810 quella napoleonica e nel 1860 quella sabauda – privano la chiesa di importanti opere d’arte come la pala opistografa del Perugino, realizzata tra il 1504 e il 1505 (l’opera è realizzata su un supporto cartaceo o papireo che di solito interessa entrambe le facce del foglio). Negli stessi anni, nel dicembre del 1505, Raffaello di Giovanni di Sante da Urbino stipulava il contratto con le Clarisse di Monteluce per la realizzazione della tavola dell’Incoronazione della Vergine per l’altare maggiore della medesima chiesa. L’opera è sottratta alla proprietà dei monaci il 3 giugno 1863 dal sindaco di Perugia Ansidei e affidata alla salvaguardia della pinacoteca cittadina che poi diverrà la Galleria Nazionale dell’Umbria. Due giorni dopo, il 5 giugno, è richiesto anche il Crocifisso ligneo policromo scolpito, soggetto del quadro in questione, che era posto sopra l’altare maggiore della chiesa. La pala rappresenta su una faccia due angeli che raccolgono il sangue di Cristo, il cui crocifisso era applicato al dipinto, e ai piedi della croce Maria, la Maddalena e i San Giovanni Apostolo e Francesco. Nell’altra faccia è un’ Incoronazione della Vergine, scena che si sviluppa su un doppio registro: quello superiore, all’interno di una mandorla celeste incorniciata da quattro cherubini con in mano una ghirlanda di edera, simbolo di gloria eterna, Cristo incorona la Madre. Nel registro inferiore il rapimento mistico del gruppo di apostoli. A Perugino è inoltre affidata la decorazione della predella, con San Bernardino e il suo monogramma, due angioletti, il beato Bernardino da Feltre e una pietà. Il crocifisso invece è una scultura a tutto tondo, in legno dipinto a tempera e con proporzioni reali (180 cm). È un’opera profondamente realistica, grazie alla cura dei particolari come le echimosi sanguinanti, la pelle del corpo molto pallida e contratta per la sofferenza, le vene bluastre in rilievo. Il corpo è presentato frontalmente con la testa reclinata sulla spalla destra. Il viso esprime una profonda sofferenza con le sopracciglia alzate, gli occhi socchiusi e la bocca aperta che lascia intravedere la dentatura. La statua ha un’attribuzione incerta e grazie a recenti studi è dai più attribuita a Giovanni Teutonico, anche se gli studi sono in continuo divenire. Ai lati della pala erano due angeli genuflessi reggi-candelabro, in legno scolpito policromo, databili agli inizi del XVI secolo e un parato di candelieri in legno dorato.

Il crocifisso
Accanto allo stipite sinistro dell’arco trionfale e vicino all’altare maggiore si innalza il grande Crocifisso, scolpito in legno di tiglio, che nonstante l’indiscutibile fattura, è passato quasi inosservato nel corso dei secoli e per questo non requisito. È una creazione di ambiente fiorentino, databile alla fine del XV secolo. Nel 1956 padre Diego Donati recupera la scultura abbandonata in una cappella dismessa del convento e rimuove gli strati policromi, realizzati nel XVII e nel XVIII secolo. Secondo quanto tramandato dal frate, probabilemente la scultura era stata adattata a statua processionale del Cristo Morto: ha infatti le braccia snodate e arrotondate con la carta vetrata per definire la curvatura scapola-omero.

La cantoria
È sorretta da due colonnette con capitello quadrato sulle cui facce è una croce latina e il fusto e la base ottagonali, da cui partono tre archi ed è posta in fondo alla chiesa sotto un grande arcone. Dalle fonti settecentesche sappiamo che nel coro absidale era un organo di sette piedi per l’accompagnamento della preghiera liturgica. Con il rifacimento negli anni 1858-1860 fu previsto l’alloggiamento di un organo nuovo in sostituzione di quello cinquecentesco, che sarebbe stato spostato sulla controfacciata della chiesa, nello spazio del soppalco corale. La previsione non fu rispettata e l’antico organo fu venduto dalla Cassa eclesiale demaniale l’8 maggio 1867 a Davide Ercolani, della parrocchia di Sant’Andrea d’Agliano. Il nuovo organo sarà invece venduto dalla suore clarisse di Assisi nel 1926, in occasione del VII centenario della morte di San Francesco e collocato nella controfacciata. Nel 1983, per il centenario della consacrazione della chiesa, si voleva trasferire l’organo dalla cantoria al centro del coro ma ciò non fu possibile e si optò invece per un organo elettrico. Oggi l’organo è in disuso a causa di inconvenienti tecnici. Al centro della balaustra della cantoria un’iscrizione su intonaco che crea un effetto di finto marmo dorato di gusto neogotico, posta il 3 dicembre 1883 in occasione della consacrazione della chiesa, recita:

OMNIPOTENTI DEO SACRUM
IN HONOREM SANCTI FRANCISCI ASSISIATIS
TEMPLUM HOC TEMPORUM INIURA VASTATUM
FRATRUM MINORUM CURA
IN PRISTINUM RESTITUTUM PICTURA ET ORGANO MUSICO EXORNATUM
FRIDERICUS FOSCHI ARCHIEPISCOPUS PERUSINORUM
SOLEMNIBUS CAERIMONIIS RITE CONSECRAVIT
III – KAL(ENDAS) DECEMBRIS AN MDCCCLXXXIII

Sotto la cantoria due blocchi di seggi da tre posti ognuno, non dissimili dagli altri conservati nella chiesa.

Le navate laterali
Lo stato attuale della chiesa è il risultato degli inteventi della metà del XIX secolo e degli adattamenti susseguitisi dal 1874 ad oggi.
Lungo i pilastri delle navate laterali sono appese quattordici stampe sotto vetro, decorate da cornici in legno con borchie agli angoli. Vi sono raffigurati i momenti dolorosi della Via Crucis , opera di dell’artista romano Bartolomeo Pinelli.

Gli altari laterali
Tutti gli altari originariamente erano decorati da colonne in stucco profilate d’oro.
Partendo dall’altare maggiore e procedendo lungo la navata verso l’ingresso, si può ammirare:
Primo altare destro: nella parete centrale si allineano in basso 7 seggi in legno; sopra entro una cornice in stucco grigio decorata da motivi floreali la pala della Venerazione della Santa Croce, dove la Madonna, Maria Maddalena , Giovanni Evangelista e Francesco d’Assisi sono in contemplazione, insieme a due angeli immediatamente sotto i bracci, della Croce che appare vuota. Qui in origine era posto un crocifisso ligneo di maestranza tedesche oggi non più in loco. Il dipinto è la copia di un’originale del Perugino realizzata nel XIX secolo da fra Luigi da Panicale. Nella stessa opera in alto a sinistra un sole splendente con tratti facciali umani. Nella parete sinistra, al di sopra del confessionale, la tempera di Elpidio Petrignani San Francesco riceve le Stimmate sul Monte Della Verna, realizzato nel secolo scorso. Nella parete destra lo stesso autore realizza negli stessi anni la tempera Papa Innocenzio III approva la Regola Francescana. Purtroppo quest’opera non presenta uno stato conservativo ottimale a causa di infiltrazione sul retro. Entrambe le opere sono inquadrate in cornici grigie in stucco dalla linea semplice ed essenziale. Al centro una statua a tutto tondo di San Francesco Sofferente. Sul soffitto nelle quattro vele sono disegnati altrettanti medaglioni con i santi francescani.
Segue lungo la stessa navata la Cappella della Santa Immacolata, conosciuta anche come Oratorio del Santissimo Sacramento. Questo vano è molto ampio e diviso in due parti da un’arco trionfale. Questa costruzione rompe l’allineamento laterale delle antiche cappelle Quattrocentesche. Il vano è opera di Orazio Alessi e la decorazione è di Bernardino di Vincenzo Sozi. Le decorazioni della volta sono di E. Petrignani. Nella nicchia sulla parete di fondo si può ammirare una statua novecentesca della Vergine in preghiera con le mani giunte di Ulisse Ribustin realizzata tra il 1905 e il 1908 e sulla facciata intorno alla nicchia due angeli e due puttini circondati da decorazioni floreali. Sulle pareti laterali, in spesse cornici in cotto, ci sono due grandi pitture di Elpidio Petrignani: a sinistra Pio IX che proclama il dogma dell’Immacolata Concezione, fatto avvenuto nel 1864. a destra invece il Beato Giovanni Duns Scoto difende la Vergine scacciando il male e un angelo annuncia il fatto. Al centro l’altare, affiancato da due blocchi di cinque seggi ognuno, in legno, poggia su tre gradini. Sopra il ciborio eucaristico, con colonne e lesene con capitelli ionici e decorato da marmi sulle quattro facciate, conservava nella parete la pietra su cui sarebbe caduto il sangue del Bambino al momento della circoncisione, scomparsa prima dell’arrivo dei francesi. Sul pavimento davanti all’altare, una lapide in pietra rossa con lo stemma della famiglia Alessi e l’iscrizione D.O.M. HAEREDUM HORATI BEVINEATIS, oggi rimossa, in occasione del rifacimento del pavimento in cotto. Successivamente sulle vele della crociera, sono stati realizzati medaglioni con gli episodi della vita della Vergine; nei lunettoni quattro pitture a tempera con allegorie della Madonna. Questa decorazione è realizzata da Umberto Gualaccini nei primi anni del Novecento. Nella seconda parte, in prossimità dell’accesso, sulle pareti laterali vi sono due altari con pale disegnate dal frate artista Padre Diego Donati nella seconda metà del secolo scorso: entrando a sinistra San Giovanni da Capestrano (1956) e a destra San Bernardino da Siena (1957). Usciti dalla cappella, sulla parete della stessa navata un dipinto di artista ignoto rappresenta all’inizio della navata anche un ritratto, in una cornice dorata. di San Bonaventura da Bagnoreggio, dipinto in contemplazione del crocifisso mentre sta redigendo il testo della Legenda Maior. Sullo sfondo della tela è riprodotto con fedeltà il lato est del Monte con la ripida salita.
Sulla parete accanto all’ingresso vi era un’urna in pietra con decorazioni in stucco, fatta costruire dal medico perugino Luca Alberto Podiani per contenere i suoi resti mortali. Durante il rifacimento della chiesa, a metà XIX secolo, il monumento e le ossa del defunto furono spostati nella sala sotto il porticato, davanti al sagrato. Nel 1926 furono trasportate a Santa Maria degli Angeli nel Corridoio di Pietre. Una parte dell’iscrizioni dedicatoria della tomba originale si trova esposta nel Lapidarium del Monte.
Sulla parete della navata destra, in prossimità dell’altare, vi sono due tele: a destra San Carlo Borromeo in preghiera, inginocchiato con la corda della penitenza al collo, commissionata da Flaminio Ubaldini, del quale è rappresentato lo stemma, ed è opera del veneto Paolo Piazza, noto con lo pseudonimo di padre cappuccino Cosimo da Castelfranco Veneto, datata al 1610, come ci tramanda il cartiglio in basso a sinistra. Sulla parete di fondo della navata laterale destra invece un affresco del XIV secolo di pittore ignoto rappresenta San Girolamo.
Scendendo lungo la navata verso l’uscita nella parte centrale della stessa navata il Trittico del Trapasso del 1923 di Gerardo Dottori, donato dall’artista stesso ai frati nel 1971. Il trittico si compone di queste tre immagini: al centro la Morte-Transito di San Francesco davanti alla Porziuncola, a sinistra San Francesco ammansisce il lupo e a destra la Predica agli Uccelli.
In fondo, accanto all’uscita, è Santa Margherita da Cortona in estasi, dell’inizio del XVIII secolo, di Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato.
Sul secondo pilastro dall’ingresso della parte destra della chiesa è una tela dipinta da frate Leone Bracaloni nel 1921 con l’effige del Beato Egidio, fondatore del convento.
Lungo i pilastri della navata centrale e alle pareti delle navate laterali sono appese quattordici stampe sotto vetro, decorate da cornici in legno con borchie agli angoli. Vi sono raffigurati i momenti dolorosi della Via Crucis, opera dell’artista romano Bartolomeno Pinelli

Il chiostro di San Bernardino
All’interno della struttura vi sono tre chiostri; quello centrale di San Bernardino, conserva le parti più antiche dell’intera struttura, visibili nella muratura del lato nord, ovest e in parte in quello est, tutti in pietra arenaria con inserti in mattoni. Sul lato rivolto verso il chiostro del Capestrano si nota la stessa trama muraria in arenaria con una caratteristica stretta feritoia, la muratura si interrompe a metà per proseguire con elementi costruttivi differenti. Questa interruzione testimonia ciò che è riportato nelle fonti documentarie: l’allungamento del primitivo edificio nel Quattrocento per collegarlo alla parete. Nel piccolo giardino al centro si innalza un agrifoglio secolare. Sopra il porticato, al primo piano della costruzione, si affacciano le finestre delle celle del seminario, oggi pensionato universitario Casa Monteripido. Il chiostro conserva nelle lunette del portico bellissimi affreschi con Episodi della vita di San Francesco. Per dipingere le lunette ad ovest è chiamato Anton Maria Fabrizi, pittore perugino, allievo di Guido Reni.
Nella prima lunetta un particolare del viaggio del Santo verso la Romagna con frate Leone: sulla piazza del castello di Montefeltro, durante una festa di cavalieri, Francesco incontra il conte Orlando di Chiusi del Casentino. Il nobile, toccato dalla predicazione del Santo, gli dona le terre della Verna. Sul lato sinistro della scena Francesco riceve da Cristo la Regola dei Minori. In basso lo stemma del committente. Ai piedi della torre un cartiglio con scritto Vere Deus abseconditus.
Nella seconda lunetta la scena in cui Maria appare tra le nubi e porge Gesù Bambino a San Francesco adorante. Ai piedi del Santo il Vangelo. La scritta in basso Simeoni non invideo richiama l’episodio nel Nuovo Testamento in cui Simeone, prendendo il Bambino in braccia, esulta per la Salvezza di Isdraele. Alle spale di Maria la madre Anna e alle spalle del Santo il Beato Egidio. In basso a destra lo stemma del committente.
Nella terza lunetta un confratello di Francesco preme il piede contro il corpo del Santo disteso a terra. L’episodio è un richiamo all’episodio accaduto a San Pietro di Bovara, dove francesco si era ritirato a pregare per una notte intera e dove era stato tentato dal demonio. Ci sono tuttavia varie scene che concorrono a illustrare appieno l’episodio: Francesco in preghiera davanti ad un’edicola e dalla parte opposta con frate Ruffino predica nella piazza di Assisi. In un altro angolo Francesco, su una scala, ripara il tetto di una chiesetta. A destra in basso il blasone della famiglia committente.
Nell’arcata d’ingresso, in una cimasa barocca di un portale, doveva essere conservato il simbolo cristologico disegnato da San Bernardino da Siena con le lettere IHS sopra un sole raggiantesu campo azzurro. Tra i vari significati attribuiti al trigramma bernardiniano, una ha avuto particolare seguito, interpretando le tre lettere come acrostico della frase latina Iesus Hominum Salvator. In realtà il trigramma è la trascrizione in maiuscolo delle prime tre lettere del nome greco di Gesù. Il successo dell’acronimo è notevole nel corso dei secoli: è presente nello stendardo di Giovanna d’Arco e come simbolo dell Compagnia di Gesù (gesuiti). È anche attributo di Sant’Ansano scritto in un cuore. Spesso si trova anche con IHC, in quanto il sigma greco a fondo parola assomiglia vagamente ad una “c”.
A Gian Domenico Mattei è affidata invece la realizzazione delle lunette ad est del chiostro.
Nella prima lunetta a destra San Francesco per terra sui carboni ardenti del vicino focolare. A sinistra una donna seminuda in piedi e sul fondo un’albergatrice assiste alla scena da dietro una tenda. L’episodio allude ad uno dei Fioretti in cui Francesco, durante la predicazione in Oriente, in un albergo per riposarsi, è tentato in peccato da una donna disonesta. Francesco si spoglie si adagia sui carboni ardenti non provando sofferenza ma anzi gioia e mostrando alla donna la sua fede. In basso a sinistra ancora il blasone del committente, anche se non ben conservato.
Nella seconda lunetta l’episodio del lupo presso Gubbio. San Francesco, parlandogli con dolci parole e facendogli il segno della Croce, riesce a tranquillizzarlo e gli ordina di non uccidere più gli uomini e gli animali. A destra e a sinistra molte persone assistono al miracolo.
Nella terza lunetta un angelo accompagna il Frate nel Purgatorio, portando il vessillo dell vittoria pasquale. Il Santo è presentato come novello Cristo. Al centro dell’affresco, in alto, il pittore pone l’immagine della Vergine con il Bambino, richiamo alla Madonna degli Angeli e all’indulgenza della Porziuncola.
Nella quarta e ultima lunetta, nell’angolo est, non è riconducibile a nessuno dei due pittori in quanto la qualità è nettamente inferiore a quella degli altri affreschi. Vi è raffigurato Sant’Antonio da Padova che strappa un bambino annegato alla morte. L’episodio è noto dalla biografia del Santo redatta da Jean Rigauld del 1293. Da questo miracolo nasce la tradizione del pondus pueri (il peso del bambino): i genitori promettevano a Sant’Antonio tanto pane quanto era il peso dei figli, in cambio della sua protezione.

Il “conventino”
Al piano superiore del lato ovest del chiostro è l’antico Convento dell’Osservanza, dove era la cella di San Bernardino. Vi sono ancora vari elementi risalenti all’epoca bernardiniana come la scala in mattoni , il corridoio con alcune reliquie, tre umili celle con poche suppellettili dell’epoca. A causa del terremoto del 18 settembre 1962 gran parte della copertura crolla. Nuovi danni si verificano con il sisma del settembre 1996, quando questa parte del complesso è dichiarata inagibile. I lavori di consolidamento e restauro terminano solo nel 2005, quando è riaperto alla normale fruizione. Nella celletta di San Bernardino è stato ricostruito l’altare e vi si svolge una celebrazione in occasione della festa del santo. Il 20 maggio.

L’antica spezieria
Una spezieria è presente nel Convento fin dalla sua fondazione ma a causa della crescente fama dell’istituzione viene ingrandita, ospitando anche malati provenienti dai conventi nei dintorni. I Conventi che si rivolgevano all’infermeria del Monte erano: il Convento della SS. Pietà di Farneto, di San Francesco dell’Isola Maggiore del Trasimeno, di Santa Maria della Fratta a Umbertide, di San Giovanni Battista e del Buon Riposo di Città di Castello.
Nel Quattrocento l’infermeria si trova in due locali accanto all’ingresso del convento, verso il piazzale antistante la chiesa. Nel Cinquecento è costruita un’altra ala per ospitare gli ambienti per la cura dei malati. La costruzione è attestata dal 1551, data incisa su un mattone sotto il capitello dell’ultima arcata del terzo chiostro, dedicato a San Giacomo della Marca. Poco dopo è dotata di un terzo corpo di fabbrica orientato a settentrione, che viene adibito a cucina e refettorio. Nel Settecento è innalzato il primo piano con la costruzione di nuove celle soprattutto per i frati infermieri. La spezieria vera e propria era in fondo al grande corridoio del piano terra dell’infermeria, divisa in due vani: il primo per la preparazione delle medicine e il secondo per la distribuzione. Sul soffitto di quest’ultimo ambiente i simboli di Esculapio, dio greco-romano della medicina. Rimase operativa fino alle soppressioni napoleoniche. Riaperta con il ritorno dei Frati al Monte continuò la sua opera di soccorso ai bisognosi fino alla definitiva chiusura nel 1860, quando il Convento fu abbandonato e i malati trasferiti prima alla Porziuncola e poi nell’infermeria di Santa Maria degli Angeli.
Oggi l’antica spezieria è ricordata con l’esposizione permanete di arredi e oggetti dell’epoca salvati dalle requisizioni: una scrivania in legno e alcune mensole con contenitori in terracotta che conservano ancora le etichette delle erbe che contenevano.

Il chiostro di San Giovanni da Capestrano
In occasione della costruzione del nuovo dormitorio sopra l’attuale Cappella del Crocifisso nel 1447, viene predisposto anche l’ampilamento dell’edificio verso occidente per costruire un secondo chiostro. Il primo braccio costruito, quello a settentrione, risale al 1504. Al piano terra è eretto un grande porticato, con pilastri quadrangolari che sorreggono ampie volte con archi a tutto sesto. Sul lato interno dell’androne si aprivano tre locali; un magazzino, una cantina e una stanza adibita ad aula, oggi sala San Bernardino. Al piano superiore, invece, una parte del dormitorio per gli studenti. Nel 1505 si inizia la costruzione di una nuova parte seminterrata, sfruttando il naturale dislivello, per la conservazione delle derrate alimentari, del fieno e di piccola stalla. Al piano terra il nuovo refettorio, la cantina del vino e le cucine. Il primo piano ospita l’ampliamento del dormitorio. Nell’ala nord a prolungamento dell’androne si costruisce il secondo chiostro, quello di San Giovanni da Capestrano. È realizzata in mattoni ben lavorati per rimanere a vista.la linea d’omposta delle arcate è sottolineata da un listello in terracotta montato a sbalzo. Sotto la linea d’imposta della terza arcataè incisa su un mattone la data A.D. 1505.
Il REFETTORIO STORICO: è un ambiente luminoso a pianta rettangolare, coperto da una tavola a unghiatura. Gli arredi originali sono andati perduti durante le soppressioni dopo l’Unità d’Italia. Rimangono soltanto le tre sedie con alti schienali sistemate sotto i finestroni, da cui proviene la bellissima luce naturale, e sono databili alla seconda metà del Cinquecento. Il mobilio attuale è rifatto sul modello antico. Un’importante decorazione pittorica riveste la parete di fondo, purtroppo in cattivo stato di conservazione a causa delle infiltrazioni d’acqua dietro la parete. Sembra sia opera di Nicolò Circignani detto il Pomarancio. L’affresco si articola, seguendo la scansione della parete, in tre diversi episodi:nella lunetta a sinistra il Miracolo della Moltiplicazione dei Pani, al centro, tra le due lunette, la Crocifissione, in cui Cristo morente è fiancheggiato da due angeli che raccolgono il suo sangue; nel pilastro in verde sottostante l’immagine della Veronica con il panno in cui è impresso il volto del Cristo. Nella lunetta di destra la Refezione mistica di San Francesco e Santa Chiara. Sulle superfici interne delle due vele sono affrescati due puttini alati che sorreggono gli strumenti della Passione. Al centro della parete opposta, in una spessa cornice in stucco con un intreccio di fogliami, due angioletti ai lati e sulla cimasa una conchiglia e altri due angeli che sorreggono una corona, contiene una tela a olio raffigurante l’Immacolata Concezione incoronata da un’aureola di stelle con quattro angeli ai suoi piedi. All’interno delle lunette di recente sono stati collocati nove piccoli tondi raffiguranti gli Apostoli a mezzo busto; confinante con il refettorio la cucina, in origine la cantina vinaria.
Il LAPIDARIUM: nel secondo chiostro, datato 1506, vi sono esposti alcuni frammenti lapidei fissati alla parete sud. Sono per la maggior parte frammenti della pietre tombali di illustri personaggi perugini sepolti nella chiesa.

Il salone San Francesco
Il portone è quello di Porta Sant’Angelo, smontato da quella sede nel 1931 in seguito all’abolizione dei dazi e riadattato prima per la porta nord d’accesso al conventoe poi qui sistemato. Il cancello in ferro battuto, sostituito ad uno ligneo nel 1953, proviene dalla chiesa di Sant’Angelo. Il salone invece è di epoca tardo medievale con soffitto a volta in mattoni a vista, un tempo usato come magazzino per le questue in natura, come uva, grano, olio, fieno e ghiande. Oggi è usato per conferenze e incontri di cultura. Sulla parete di fondo vi è un crocifisso scolpito e dipinto del XVI secolo. Sulla parete destra tre grandi tele del pittore contemporaneo Gaetano Sparacino raffiguranti San Francesco che ripara la chiesa di San Damiano, il Battesimo di Gesù al Giordano e il Pellegrinaggio al Santuario di Lujan.

La biblioteca
A pianta rettangolare, su tutte le pareti sono disposte le scaffalature lignee di dimensioni monumentali, divise in due ordini e in quattro settori, divisi da tre finestroni, nell’ordine inferiore, e tre occhi nell’ordine superiore. La parte superiore è percorribile mediante un ballatoio protetto da ringhiere e accessibile tramite una scala esterna. Nell’ordine inferiore, nelle scansie di dimensioni diverse, sono disposti 7 palchetti a grande distanza.
Il primo ordine della libreria è composto da venti armadi separati da lesene sormontate da capitelli dorici; sopra ogni armadio un cartiglio dipinto e dorato indica la materia della scansia.
Il secondo ordine, separato da un cornicione con balaustra dal primo, è composto di altrettanti venti scaffali, seprati da semipilastridecorati all’interno e nella parte superiore. Nella parte centrale un cartiglio a volute dorato.
L’esecuzione delle scansie in legno di noce, fu affidata al falegname perugino Pietro Pacini e agli intagliatori Salviati da Fabriano, Bianchi da Siena, Cecchini da Firenze, Orsini da Perugia, Rufini da Foligno, Barocci da Cremona e Gittanelli da Perugia. Il soffitto fu dipinto da Paolo Brizi con decorazioni geometriche e motivi floreali. È diviso in otto parti uguali da travi rettangolari dipinte con i medesimi motivi. Sul ballatoio una tela di uno sconosciuto pittore del XVIII secolo con la Madonna e il Bambino e i santi francescani in estasi. Su un angolo del ballatoio, in corrispondenza del piano della scala esterna, si apre la porticina, in cui nella parte interna, è dipinta una finta scansia con i libri.
In corrispondenza di questa porta, sul piano sotto stante della stessa biblioteca, c’è un robusto portone in legno massiccio con pesante catenaccio: si tratta del portone prima nella sede perugina della Banca d’Italia e poi donato al convento. Il pavimento è in cotto con mattoni posati a spina di pescesu tutta la superficie, ad eccezione dei quattro angoli e al centro. Agli angoli decorazioni rococò che terminano all’estremitò con un giglio e fanno da cornice a quattro tavoli gemelli, in legno di noce intagliato, della stessa epoca e nello stesso stile, disegnati dal Carattoli. Al centro della pavimentazione un fiore a otto petali circoscritto da un rosone.
Sopra l’architrave della porta d’ingresso, all’interno del vaso, frate Pellegrino di Ponte San Giovanni che realizza l’orologio.
La biblioteca è un esempio unico in Umbria di biblioteca settecentesca così ben conservata. Il contenuto odierno non è il medesimo conservato dalla comunità francescana fino alla metà dell’Ottocento, che conosciamo grazie al catalogo in due volumi manoscritti, redatti nel 1790 e nel 1795. I libri che costituivano questo antico contenuto si trovano per la maggior parte ancora a Perugia, nelle raccolte dell’Università degli Studi di Perugia, della Biblioteca Augusta e del Liceo Classico della città.
L’attuale patrimonio librario è composto da 23.000 monografie, 3.500 opuscoli, 4 pergamene, un incunabolo, 220 cinquecentine, 200 manoscritti moderni di carattere storico e didattico, 10 corali dal XVI al XVIII secolo, 211 periodici otto e novecenteschi.

Galleria d’arte “Padre Diego Donati”
La Galleria d’arte padre Diego Donati si trova all’uscita del convento, sul piazzale della portineria settentrionale. È dedicata alla figura di padre Donati, incisore francescano inscritto nell’Albo d’Oro della città di Perugia. La galleria è stata aperta al pubblico il 5 dicembre 2009 dopo i lavori di consolidamento e restauro e si trova al pian terreno di un ala dell’edificio con accesso indipendente. Le ampie sale sono coperte con volte a crocera e a botte sostenute da due pilastri centrali nella sala principale e ospitano permanentemente le opere grafiche dell’artista; oltre a ciò anche i macchinari usati per la realizzazione delle incisioni. I disegni esposti sono stati realizzati tra il 1953 e gli anni Novanta con varie tecniche, tra le quali la xilografia, l’acquaforte e le acquetinte. L’apertura e la gestione della galleria è affidata alla disponibilità dell’Associazione Padre Diego Donati ofm, nata per valorizzare e promuovere le opere dell’artista.

L’Osservanza francescana:
Nel 1368 PaoloVignozzi della nobile famiglia dei Trinci di Foligno, detto Paoluccio, giunto all’eremo di Brogliano, sull’altopiano umbro marchigiano di Colfiorito, avviava un’austero programma di vita francescana, che prende il nome di movimento dell’Osservanza. L’intento era quello di aderire agli ideali di povertà evangelica originari del francescanesimo, ponendosi su una via media e ortodossa tra i frati conventuali e i condannati Fraticelli ereticali. La conferma della validità dell’iniziativa arrivò soltanto con la bolla “Provenit ex devotione affectu”, emanata il 28 luglio 1373 da Gregorio XI agli undici conventi aderenti alla riforma del frate. Nel 1374 Paoluccio è chiamato dai rappresentanti di Perugia per partecipare ad un dibattito pubblico controi Fraticelli ereticali, che rifiutavano la gerarchia interna all’ordine e della Chiesa, considerata ormai del tutto corrotta. Egli riuscì a confutare le i falsi principi dei padri ereticali con le parole del Vangelo. Per ringraziarlo, gli viene donata la sede del Monte, l’( giugno 1374. L’arrivo degli Osservanti a Perugia è un evento di grande importanza in quanto dimostra la possibilità di rinnovare l’Ordine francescano dall’interno. Da questo momento in poi Monteripido diventa il centro della ristrutturazione del ramo osservante dell’Ordine dei Frati Minori.

PRIMA STATIO: IL “TEMPIO” DI SANT’ANGELO

Le origini
Dedicato alla figura di San Michele Arcangelo, si trova sulla sommità della collina a nord della città. È posta fuori delle mura urbiche etrusco-romane ma inglobata all’interno del nuovo assetto difensivo medievale trecentesco, che venne costruito in modo tale da contenerlo. L’intitolazione a San Michele Arcangelo definisce il luogo come sede di un culto bizantino; infatti il culto all’Arcangelo, di origine orientale, conobbbe un grande sviluppo in occasione della presenza bizantina in Italia in un primo momento, per poi diffondersi anche in ambito longobardo, dalla metà del VII secolo. Nel 663 i Longobardi saccheggiarono il tempio di San Michele a Lorenzo Miorato, luogo di apparizione dell’Arcangelo tra 492 e il 494 d.C, e ve ne costruirono un altro, il Santuario di San Michele sul Gargano.
Nell’area intorno alla chiesa vi sono tracce di resti lapidei, probabilmente, quindi, era adibita a scopo cimiteriale.

La chiesa
L’edificio è di particolare importanza per la storia dell’architettura paleocristiana: insieme a Santo Stefano Rotondo di Roma, è un rarissimo esempio di edificio prebizantino Questa tipologia di costruzione compare in Italia intorno al V secolo grazie a influenze orientali. Dal 1036 appartiene al Capitolo della Cattedrale.
La chiesa è a pianta centrale, impostata su un peristilio centrale circolare, realizzato grazie all’impiego di sedici colonne di granito bigio, marmo di Carrara, cipollino e marmo nero venato, con capitelli corinzi e ionici, di spoglio, raccordate da archi, terminante con un tamburo a sedici lati e coperto con tetto a travi, di altezza maggiore rispetto alle coperture periferiche e provvisto di dodici finestre quadripartite a tutto sesto unite in gruppi di tre poste in corrispondenza delle entrate cappelle grazie a queste la luce è convogliata sull’antica lastra marmorea che costituisce l’altare creando un effetto di mistica religiosità. Sul muro perimetrale si aprono quattro triforia di accesso ed altrettanti vani periferici disposti rispettando i punti cardinali; tre di questi hanno forma rettangolare e quello orientale con andamento circolare all’interno e poligonale all’esterno. Il lato est si distingue inoltre per la mancanza di comunicazioni verso l’esterno, al contrario degli altri vani, caratterizzati ciascuno da due accessi, che si devono sommare ad altre cinque probabili porte site lungo il perimetro dell’edificio. Immediatamente a sinistra del corpo meridionale doveva aprirsi una porta di dimensioni doppie rispetto alle altre, cioè il portale d’accesso principale, che si andava ad inserire trasversalmente rispetto agli altri corpi periferici. La struttura che ne scaturisce è quella di un edificio complesso formato dall’intersezione di una pianta centrale e una a croce greca.

L’interno della chiesa
Dall’interno tutto è visibile grazie alle colonne della peristasi che in corrispondenza delle quattro entrate dei bracci, hanno un fusto e una dimensione maggiore rispetto alle altre, così come la distanza tra gli intercolumni, maggiore nella porzione antistante le quattro cappelle. Alcune basi delle otto colonne maggiori sono ornate di sculture Al centro sorgeva, a copertura dell’altare, un grande ciborio romanico, andato distrutto nel 1747. L’altare originale è stato ricollocato qui nel 1950 ed è formato da un pezzo di colonna di granito antico e una lastra di marmo grigio, con agli angoli quattro incavi per le aste del velario o per la conservazione di reliquie; al centro un incavo per l’asta della croce; anche la lastra è di riutilizzo e probabilmente proviene da un edificio classico. Oltrepassando il portale gotico, posto sul triforio dell’antica cappella meridionale, oggi scomparsa, nella parte interna del muro perimetrale si può notare l’uso nella costruzione del tamburo di mattoni e pietre. A sinistra dell’ingresso, un’acquasantiera del Cinquecento. A destra, invece, un affresco del XIV secolo la Veronica e i Santi Lorenzo e Agata; più avanti la Cappella del Battistero, costituita da un piccolo vano a crociera con una piccolissima porticina di accesso, del ‘300 con affresco del 1421 la Madonna col Bambino e sotto i Santi Domenico, Lorenzo e Giacomo. Segue la Cappella del Crocifisso, in principio cappella absidale, con rivestimento interno costruito su disegno di B. Orsini alla fine del Settecento; prima di quest’ultimo intervento, la cappella aveva affreschi di scuola perugina del Quattrocento; ai lati colonne dell’antico triforio e piccolo affresco del XV secolo. Nelle nicchie sono conservate reliquie di martiri e sotto l’altare reliquie di S. Benero martire, provenienti dal Cimitero di Ciriaco a Roma; la lastra tombale è visibile dietro l’altare. Il pavimento ha maioliche di Deruta del Seicento. Proseguendo lungo il muro perimetrale, la Cappella del Sacramento del 1581; al centro colonna di Caio Vibio Gallo Proculeiano della tribù Tromentina. Proseguendo è visibile il triforio dell’antica cappella occidentale, opposta all’antico adside, oggi incorporata nella chiesa parrocchiale; in alto i beccatelli dell’antico campaniletto a vela del XIV secolo; in quello odierno, la campana è stata fusa nel 1495 dal perugino Mariotto Crescimbeni. Lungo tutto il muro perimetrale stemmi tombe terragne e un’epigrafe in marmo rosso a ricordo dell’indulgenza concessa a Perugia da Bonifacio VIII. All’esatto opposto dell’ingresso è il triforio dell’antica cappella settentrionale, oggi incorporata nella casa vicina. Vi è conservata la statua di San Michele Arcangelo, realizzata nel 1951 da Benedetto D’Amore. Proseguendo, una copia moderna dell’affresco, staccato, che ornava la parete degli inizi del XIV secolo, chiamato Madonna del Verde (colore della speranza), perché le puerpere, vestite con abiti di colore verde, affidavano loro stesse e i loro bambini appena nati a questa immagine.

SECONDA STATIO:IL MONASTERO DI SANT’AGNESE

Il monastero delle Clarisse

Costruito intorno al 1318, dal 1329-1330 fu occupato da un nucleo di Clarisse provenienti dal monastero di Sant’Agnese di Boneggio.la comunità vi rimase fino al 1428-1430, quando fu unita a quella di Santa Maria a Monteluce. Qui vi si insediarono le Suore dell’Ordine delle Terziarie Francescane che vi rimasero fino al 1911, quando il monastero tornò all’Ordine di Santa Chiara. Nel 1927 il cavaliere Donato Giovannuzzi ricomprò per le suore tutta la proprietà. Oggi il monastero è proprietà della Federazione S. Chiara di Assisi delle Clarisse dell’Umbria-Sardegna.
Ragazze provenienti da nobili famiglie perugine, quali i Boncambi, Monaldi, Conestabile e Degli Oddi, hanno vissuto da educande in questa sede.

La chiesa
La piccola chiesa è stata ricostruita e consacrata nel 1602 dal vescovo Comitoli; è a pianta quadrangolare, ornata da un cornicione dorico di stucco e da pilastri dipinti, con tre altari in finto marmo dorati, realizzati da Carlo Mancini nel 1816. Dietro l’altare maggiore c’è un quadro con Cristo dopo la Flagellazione, opera di Gian Francesco Basotti. Gli altri due altari hanno due quadri di Giulio Cesare Angeli: il destro con il Sogno di Costanza, figlia dell’imperatore Costantino, presso il sepolcro di Sant’Agnese del 1613 e il sinistro con San Francesco che mostra a Gesù Cristo e alla Madonna le Rose Bianche e le Rose Fiorite dalle spine del 1615.
Nel Coro delle Monache, all’interno di un arco, ai lati di un Crocifisso in legno scolpito, è dipinto un affresco con Madonna e San Giovanni Evangelista e due angeli che raccolgono il sangue, opera di Eusebio da San Giorgio; nell’intradosso dell’arco San Sebastiano, il Padre Eterno e San Rocco, affreschi datati 1519 e attribuiti sempre a Eusebio da San Giorgio.

L’affresco del Perugino
La cappella interna del monastero contiene un affresco del Perugino raffigurante la Madonna delle Grazie fra i Santi Antonio Abate e Antonio da Padova. Ai piedi della Madonna, raffigurata davanti ad un delicato paesaggio, sono inginocchiate due suore, con le mani giunte e lo sguardo rivolto alla Vergine. In cielo, sopra la testa di Maria, volano due angeli. La scena è racchiusa in una finta architettura e all’interno due finte nicchie laterali racchiudono i due santi. Il dipinto è del 1522, data un tempo leggibile ma oggi del tutto scomparsa come la scritta Suor Ufrasia e Suora Teodora fece fare. Le due sono, secondo la leggenda, le cugine di Perugino di cui egli era tutore. In origine er un portico che poi successivamente è stato chiuso e oggi è una graziosa cappella. L’immagine è molto venerata dalle suore. Per uno speciale indulto concesso da Papa Leone XIII, i visitatori possono visitare la cappella, accompagnati da due sorelle che suonano una campana per avvisare le altre suore della presenza di visitatori estranei.

Il chiostro
Al centro del convento sorge un chiostro-giardino al cui interno è un pozzo. Quest’ultimo presenta all’esterno una vèra circolare, formata da conci in pietra sagomata e cementati. I pilastri di mattoni che circondano il pozzo e sorreggono la tettoia in legno sono un’aggiunta contemporanea. Il pozzo è tornato in funzione all’inizio dell’Ottocento come ricorda la scritta Fu rimunito a dì 2 ottobre 1802. I documenti riportano che nel 1477 il monastero cedette alcuni terreni per il pagamento della realizzazione di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana e di un pozzo. È questa la data alla quale se ne fa risalire la costruzione. Il pozzo nel 1944 ha fornito l’acqua necessaria alla popolazione, durante il passaggio del fronte, grazie al permesso delle suore di rompere la clausura.

TERZA STATIO: IL MONASTERO DELLA BEATA COLOMBA DA RIETI

Il monastero delle Domenicane
In origine il monastero era dedicato a Santa Caterina da Siena, santa a cui era devotissima la fondatrice di quest’ordine, Beata Colomba. Il luogo è noto per aver ospitato la religiosa in punto di morte, nel 1501: la sua immagine è fissata in un dipinto su tavola che costituisce la più antica iconografia nota della Mistica. Ospita le suore domenicane del Secondo Ordine, insediatesi qui dopo la fusione con l’Ordine di San Tommaso nel 1940, quando riescono a stabilirsi in questa nuova sede e vi ricostruiscono la cella lignea della fondatrice. Il primissimo monastero si trovava nel Rione di Porta San Pietro nelle vicinanze della Chiesa di San Domenico; da lì le suore furono espulse nel 1864 e oggi è la sede dei Vigili del Fuoco.

L’esterno
L’esterno è molto semplice e austero, tranne per le finestre ad arco con ghiera in mattoncini all’ultimo piano e per alcuni piccoli dettagli come la targa sulla facciata che ricorda il luogo in cui, secondo la leggenda, nel 1220 si sarebbero incontrati San Francesco e San Domenico; la pietra murata che fa da bocca alla CASSA P[ER] LA LIMOSINA e la colomba in cotto a rilievo sopra il portale.

La chiesa
Nella Chiesa nella parte sinistra dell’altare una tela di Ludovico Caselli, copia dei primi dell’Ottocento dell’Incredulità di San Tommaso di Giancola di Paolo, oggi conservato alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Dietro l’altare principale, sopra la grata, una tela di Francesco Appiani proveniente dal monastero di San Tommaso. La volta ha decorazioni di Nicola Giuli, pittore perugino del XVIII secolo. Sotto l’altare una statua raffigura la Beata morta.

La Beata Colomba da Rieti
Angelella Colomba Guadagnoli nasce a Rieti nel febbraio del 1467. Fin dall’infanzia manifesta il suo amore in Gesù. All’età di 19 anni entra in convento nei terziari domenicani. Grazie alla sua fede, entrava spesso in uno stato di estasi mistica. Nel 1488 arriva a Perugia e qui si stabilisce fondando un Monastero dedicato a Santa Caterina da Siena. Nel 1497 è eletta Priora del suo monastero. È una figura molto importante per la città, tanto che molti funzionari e governatori le chiedono consigli e giudizi. È ricevuta da papa Alessandro VI Borgia, in visita nel capoluogo umbro, al quale lei predice molte avversità per la sua famiglia. Muore giovanissima a Perugia, all’età di 34 anni, il 20 maggio 1501. È uno degli esempi più eclatanti di beatificazione spontanea da parte della popolazione che la considerò santa già prima della morte. È stat beatificata ufficialmente da papa Urbano VIII nel 1627.
Curiosità: il nome Colomba deriva dall’episodio avvenuto il giorno del suo Battesimo: una colomba si avvicinò al Fonte Battesimale proprio mentre stava ricevendo il sacramento e questo fu da subito ritenuto un segno di predilezione divina.

QUARTA STATIO: IL MONASTERO di SANTA CATERINA

Il monastero delle Benedettine
Edificato nel 1547 con il titolo di San Bernardo, il progetto fu disegnato da Galeazzo Alessi a spese del monastero di Santa Giuliana le cui monache avevano necessità di una nuova sede. Nel 1649 vi si trasferirono le monache di Santa Caterina Vecchia. La facciata, del 1658, in laterizio con cornici e finti pilastrini, ha incastonata la tipica ruota, in marmo, simbolo del supplizio a cui fu condannata Santa Caterina d’Alessandria.

La chiesa
L’interno della chiesa, l’unica parte alla quale il pubblico può accedere, ad aula rettangolare e coro circolare nell’abside, ha decorazioni e arredi settecenteschi e la volta affrescata con Storie del Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, realizzate Mattia Batini nel 1718. I quadri degli altari sono opera di Benedetto Bandiera, tra cui Sant’Orsola e le Vergini, lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina, la Crocifissione e la Discesa dello Spirito Santo, e la Concezione della Vergine di Batini stesso. Le decorazioni a stucco e le dorature sono state realizzate tra il 1792 e il 1794 da Domenico Rusconi. A destra dell’ingresso è conservato un ciborio di marmi rari e policromi, del 1675, in forma di tempietto ionico coperto da cupola, in origine posti sull’altare maggiore. Nella Cappella del Carmine, una via Crucis del 1736 con didascalie si in latino che in spagnolo. Dal 1846 ad oggi Santa Caterina è l’unico monastero di clausura benedettino femminile di Perugia.

L’ex-Saffa
Parte di questo complesso fu trasformato nel 1903 in una fabbrica di fiammiferi, nota per la lavorazione dei solfini senza il fosforo. Nel 1901 questa manifattura operava presso San Francesco al Prato, nel 1906 fu assorbita dalla Saffa di Milano.

Santa Caterina d’Alessandria
La biografia della santa, come per tutti i primi martiri, non ha fonti coeve ed è avvolta nella leggenda; vive tra il 287 e il 305, quando durante le persecuzioni dei Cristiani ordinata da Massimino Daia, cesare d’occidente, la giovane si rifiutò di sacrificare agli dei pagani e anzi riuscì con la sua dialettica e cultura a convertire i membri della commissione accusatrice. Rinchiusa in prigione fu sfamata da una colomba, evidente segno della protezione divina e condannata al supplizio della ruota, fu salvata dalla Provvidenza Divina che fece rompere lo strumento di tortura. Alla fine fu uccisa tramite il taglio della testa, dalla quale sgorgò latte invece che sangue.
Il suo simbolo è la ruota e per questo è ritenuta la protettrice di tutti coloro che hanno a che fare con le ruote (mugnai, carrai, automobilisti); per la sua giovane età è la protettrice delle ragazze e per le abilità dialettiche e argomentative è la santa santa dei retori, studenti e dei folosofi.
La santa è festeggiata il 25 novembre.

QUINTA STATIO: L’EX OSPEDALE DEL COLLEGIO DELLA MERCANZIA

L’ospedale
Il Collegio è stato una delle maggiori corporazioni della città ed è attestato per l’assistenza ai bisognosi, dagli anni Settanta del Duecento. All’esterno sulla facciata in alto è visibile ancora oggi il grifo che regge con gli artigli una balla, simbolo del Collegio scolpito sulla pietra. Il portone d’ingresso, del 1570, è ornato da blocchi in travertino. All’interno sono ancora visibili le tracce dell’aiuto profondo che il Borgo ha dato ai meno fortunati: la grande sala a tre navate, divise da dieci robuste colonne, con affreschi quasi del tutto perduti. Uscendo dalla sala principale, acccanto alla porta d’ingresso, è visibile un’edicola protetta da una lastra di vetro, con l’immagine di una Madonna (1805). Il resto della costruzione, vasta e disposta su più piani, presenta camere, sale, corridoi collegati tra loro da rampe di scale. L’edificio è stato in uso fino al 1991, quando è stato usato come dormitorio per soli uomini, che ricevevano un letto per tre sere.

La chiesa
Annessi agli stabili del Collegio della Mercanzia, la Chiesa di Sant’Egidio e l’ Ospedale per i Poveri; questo ospitava solo per tre giorni i pellegrini maschi; poi venne trasformato in un dormitorio pubblico mantenendo la regole dei tre giorni massimi di ospitalità. Il complesso era completato da una piccola chiesa, dedicata a Sant’Egidio, coperta da una volta dipinta ad arabeschi. Le pareti erano ornate con dieci dipinti raffiguranti le vicende salienti della vita del Santo, databili al 1793.
Fu edificata tra la fine del Duecento e la prima metà del Trecento (1321). Subì due importanti restauri tra il 1507 e il 1793 e affrescata da Anton Maria Garbi.

SESTA STATIO: IL COMPLESSO DI SANT’AGOSTINO

Il convento degli Agostiniani
La presenza agostiniana nel borgo è attestata con sicurezza dal decennio 1250-1260. Il complesso fu realizzato nel XIII secolo secondo gli stilemi gotici, ancora visibili in alcuni punti, sotto i rifacimenti posteriori del 1450 e più radicalmente nel 1795-1803 da Stefano Canzacchi di Amelia. Nelle lotte intestine di epoca medievale, Sant’Agostino è sempre stato il punto di riferimento del “popolo minuto” in contrapposizione a San Francesco al Prato, sede privilegiata di cappelle e lasciti testamentari della nobiltà perugina nel Monastero fu ospitato Martin Lutero durante il suo viaggio alla volta di Roma. Del complesso faceva parte anche una ricca biblioteca, oggi purtroppo del tutto scomparsa.

La chiesa
La facciata è nettamente divisa in due fasce orizzontali: la parte inferiore del XIII secolo, in stile gotico, rivestita in marmo bianco e rosa a formare un bellissimo motivo geometrico e la parte superiore in laterizio del XVI secolo ed è attribuito a Bino Sozi. Il portale gemino è di fattura rinascimentale.
L’interno è fortemente influenzato dal rimaneggiamento di età neoclassica. Ha una pianta ad unica navata e a croce latina. La navata è divisa in due campate, nella seconda delle quali sono conservati dipinti di Arrigo Fiammingo come il Martirio di Santa Caterina e Gesù e l’Apostolo Andrea, databili al 1580. Tutto quello che oggi è visibile è stato ricostruito tra il XVIII e il XIX secolo da Stefano Canzacchi di Amelia in stile neoclassico. A destra della navata la prima cappella, intitolata al Santissimo Sacramento, è di Francesco di Guido di Virio da Settignano, del XVI secolo. Vi è conservata, dietro il pilone di destra, la Madonna delle Grazie, affresco riconducibile alla scuola perugina del XV secolo, attribuito a Giannicola di Paolo da Perugia. Nella seconda cappella a destra sono collocate due grandi tele di Arrigo Van Den Broek, detto il Fiammingo: la presentazione di Sant’Andrea datata 1551 e il Martirio di Santa Caterina del 1560. Vi è conservato inoltre un grande organo da concerto. A sinistra il primo altare è sormontato da un grande affresco, della fine del Trecento, opera di Pellino di Vannuccio da Perugia, raffigurante il ciclo cristologico: Natività, Adorazione dei Magi, Crocifissione e Santi del 1377. Nella seconda cappella a sinistra, sempre in stile gotico, un affresco di artista sconosciuto, probabilmente Domenico Alfani, datato 1466, raffigurante la Madonna con Bambino in trono con i Santi Giuseppe e Girolamo. Sempre sul lato sinistro segue la Cappella Danzetta dedicata a Santa Rita da Cascia. La tela centrale e la lunetta sovrastante sono opera di Bissietta (1974). Gli affreschi delle altre pareti, lunette e soffitto sono opera di Giambattista Lombardelli e raffigurano i quattro evangelisti ed episodi della vita di Santa Lucia La quarta cappella ha sulle lunette decorazioni tardo cinquecentesche del marchigiano Giovan Battista Lombardelli. Nella nicchia del transetto destro ornata da una Deposizione della seconda metà del XIV secolo; in ciò che rimane delle cappelle radiali della zona absidale si possono ammirare decorazioni dell’orvietano Pietro di Puccio, databili al 1398, e del fabrianese Allegretto Nuzi
Nell’abside il coro ligneo e il leggio centrale furono eseguito dal fiorentino Baccio d’Agnolo di Lorenzo nel 1502, sotto la direzione di Pietro Vannucci, portato a termine dal collega compatriota Francesco di Cristoforo nel 1523. Degna di nota la bellissima scultura lignea policromata che rappresenta la Vergine col Bambino di un artista toscano della seconda metà del XIV secolo. L’altare maggiore, in marmi pregiati, è opera di Sebastiano Ricci; l’altare sulla destra di quello maggiore, in marmi e stucchi policromi, ha una tela di Diego Donati, realizzata nel 1968. Le due statuette nelle nicchie laterali, raffiguranti Sant’Agostino e Santa Monica, sono opera di uno scultore di Foligno (1662). I quattro medaglioni conservati nel transetto ai lati dell’abside e raffiguranti gli Evangelisti, sono opera di un allievo del Perugino
La chiesa ospitava due importanti opere del Perugino: la Pala Tezi, realizzata nel 1500 e oggi divisa tra la Galleria Nazionale dell’Umbria e Berlino, e il Polittico di Sant’Agostino, dipinto su due facce e rimasto integro fino al 1654 circa, poi scomposto nel 1683 e poi trasferito in parte in Francia nel 1797.
La chiesa conserva alcuni monumenti sepolcrali della famiglia Antinori a destra e della famiglia Bracceschi a sinistra. La costruzione è completata da un campanile ottagonale visibile solo dal chiostro del convento.
A destra della chiesa un piccolo portale rinascimentale permette l’accesso al vestibolo dell’Oratorio, ricchissimo nella sua decorazione barocca.

Il convento
Sul lato sinistro della chiesa, dal 1862 ospita la caserma intestata al capitano di ventura Braccio Fortebraccio. La prima presenza di un quartiere militare è documentata già nel 1527, mentre nel 1541, durante la famosa guerra del sale, vi erano stanziate le truppe di papa Paolo III Farnese. La struttura attuale a due chiostri è stato realizzato nella seconda metà del Quattrocento con molti rimaneggiamenti nel corso dei secoli successivi.. Il Refettorio d’estate, oggi dei soldati, completato nel 1577, ospita un affresco, ancora visibile, con i Santi Eremiti S. Paolo e Sant’Antonio che discutono e il corvo che somministra loro il pane. All’inizio del Seicento nelle lunette del primo chiostro furono dipinte le gesta di Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino. Oggi purtroppo sono scomparse. Le spese per la realizzazione di questi affreschi furono sostenute da nobili famiglie perugine, poi sepolte nella chiesa. Il convento aveva anche una grande biblioteca, come ricorda una lapide marmorea con iscrizione in latino oggi esposta all’interno della caserma. Nel 1780 fu aggiunto una nuova ala a destra della chiesa e un porticato in ordine dorico, realizzato su progetto di Casimiro Fagioli. Trattandosi di una zona militare, non è consentita la visita a civili in nessuna area del convento.
L’Ospedale della Confraternita, inaugurato nel 1361, nel 1737 fu accorpato a quello della Misericordia conserva soltanto una splendida aula voltata priva di arredi e decori.

L’oratorio antico di Sant’Agostino
La Confraternita dei Disciplinati di Sant’Agostino, nata nel XIV secolo (1317), diede inizio ai lavori per il rinnovamento dell’oratorio nel 1529: fu ultimato nel 1586. Il complesso si compone di due chiese sovrapposte: la più antica, al livello inferiore, fu edificata nel XIV secolo mentre l’altra è del XVI secolo.
Il primo oratorio ancora esistente ma non facilmente accessibile, ha un’unica aula rettangolare a volte a crociera; il solaio pavimentato non è più alla quota originaria. Le pareti conservano tracce di dipinti murali trecenteschi di notevole qualità pittorica. La parete di fondo, forse in origine sede dell’altare, è completamente occupata da una Crocifissione con la Vergine con San Giovanni e la Maddalena degli inizi del’400, probabilmente di allievi del Perugino (si è parlato addirittura di Raffaello) con in basso resti dei volti di San Francesco e San Domenico, resi visibili dall’asportazione di parte della pavimentazione (ricordiamo che il pavimento è stato alzato di parecchi metri rispetto alla quota originaria). L’affresco è opera di Lattanzio e Berto di Giovanni e Sinibaldo Ibi, autori della tavola che vi era al centro raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Agostino e Sebastiano, ora alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Un tempo è stato l’Ospedale della Confraternita, poi trasformato in granaio e in falegnameria oggi è in disuso.

L’oratorio nuovo di Sant’Agostino
Il secondo oratorio, a pianta rettangolare, fu rinnovato nel Seicento ed è tra gli esempi più importanti di decorazione protobarocca perugina. L’interno, al quale si accede da un andito con affreschi di Francesco Appiani, ha un elegante portale rinascimentale in pietra, probabilmente originale del primo oratorio, realizzato da Bernardino di Betto all’inizio del Cinquecento. Gli ornati della volta e delle pareti furono intagliati dai francesi Carlo D’Amuelle e Monsù Filippo e dal perugino Gian Domenico nel 1695, dorati dal lucchese Pierantonio Lazzari nel 1700 come i tre dipinti nella volta, che rappresentano la Gloria dei Santi: San Filippo, Sant’agostino e san Giacomo Minore, opera di Mattia Batini. Alle pareti dodici tele, eseguite tra il 1618 e il 1630, con Storie di Gesù e dei Santi Filippo e Giacomo del perugino Giulio Angeli, meno gli ultimi tre a destra dell’altare, opere di Bernardino Gagliardi di Città di Castello (1656). Ai lati del finestrone a vetri ottocentesco, altre due tele di Mattia Batini: San Sebastiano e San Rocco. L’altare, con decorazione a colonne e frontespizio in legno dorato, venne realizzato dall’artista perugino Marco Pace nel 1586 su disegno di Bernardino Sozi. Le colonne sono di Sciarra Bovarelli da Gubbio. Nell’altare una tavola del 1563 di Raffaellino del Colle rappresenta la Madonna col Bambino e i Santi. Sempre sull’altare, uno stendardo processionale di Giovanni Antonio Scaramuccia, realizzato nel 1625 che raffigura la Vergine in gloria con il Bambino ed i Santi Domenico, Agostino e Francesco.; anche la decorazione della lunetta è attribuita a Scaramuccia e rappresenta il Padre Eterno. Nella Sagrestia, decorazioni prospettiche di Pietro Carattoli del 1762 circa e pitture di Francesco Appiani.

Sant’Agostino d’Ippona
Aurelio Agostino nasce a Tagaste il 13 novembre 354 d.C in una famiglia non ricca: il padre Patrizio era pagano e la madre Monica cristiana, ebbe grande influenza sulla conversione del giovane al cristianesimo. Nel 370 per motivi di studio si trasferisce a Cartagine dove apprende l’arte oratoria. Nel 373 si converte al Manicheismo. Nel 383 si sposta in Italia, a Roma, e successivamente, grazie ad Aurelio Simmaco, a Milano, dove conosce Sant’Ambrogio. Nel frattempo si avvicina alla filosofia neoplatonica.la notte di Pasqua del 387 riceve il battesimo a Milano da S.Ambrogio. nel 391 è ordinato sacerdote. Ricopre la carica vescovile ad Ippona dal 395 fino alla sua morte, avvenuta il 28 agosto del 430, durante l’assedio dei Vandali ad Ippona. Fu proclamato santo fin da subito. Nel 718, il suo corpo, trasportato a Cagliari dai sopravvissuti all’invasione dei Vandali, fu portato a Pavia, per ordine del re longobardo Liutprando e deposto nella basilica di San Pietro in Ciel D’Oro. Nel 1298 fu riconosciuto tra i quattro principali dottori della chiesa. Tra i principali santi agostiniani si ricorda, oltre a San Nicola da Tolentino, Santa Rita da Cascia (1381-1457), ricordata il 22 maggio.

SETTIMA STATIO: PALAZZO GALLENGA-STUART

Il palazzo
In origine di proprietà della famiglia Antinori e dal 1925 è sede dell’Università Italiana per Stranieri, riconosciuta dal 1992 come istituto statale a ordinamento speciale. Fu costruito, in laterizio, tra il 1740 e il 1758 da Pietro Carattoli su disegno dell’architetto romano Francesco Bianchi e occupa un intero lato della Piazza Braccio Fortebraccio. La porzione posteriore del palazzo fu terminata soltanto negli anni Trenta del novecento (1931-1937), grazie alle donazioni di un ricco studente americano Frederick Thorne Rider, a Perugia proprio per frequentare i corsi, mantenendo le direttive del progetto originario. Leggenda vuole che il giovanissimo Goldoni, residente in città nei primi anni di vita, recitasse nel teatrino del palazzo. Lo stile dell’edificio è tardo gotico, nonostante sia un’opera del XVIII secolo
All’esterno, la facciata è caratterizzata da un alternanza di toni caldi del mattone ai toni freddi del bianco dei particolari: tre ordini di finestre decorate da cornici e lesene coronate da capitelli; ogni apertura è inframezzata da pilastri. Il portale d’ingresso è incorniciato da una struttura architettonica con colonne in pietra bianca.
Gli affreschi all’interno sono opera di Carattoli, i dipinti di Giulj. Nell’ala moderna del palazzo, all’interno dell’aula magna, è conservato un importante affresco di G. Dottori. Importante esempio dell’arte tardo settecentesca è la Sala Goldoniana, decorata ad affresco con figurazioni mitiche, segni zodiacali e trompe d’oil. Al terzo piano è conservata una collezione di tele del 1762 con soggetti paesaggistici e vedute di proprietà di Giuseppe Antinori.

L’Università Italiana per Stranieri
L’Università per Stranieri di Perugia è la più antica e prestigiosa istituzione italiana impegnata nell’attività di insegnamento, ricerca e diffusione della lingua e della civiltà d’Italia in tutte le loro espressioni. La sua storia dell’Università inizia nel 1921, quando l’avvocato perugino Astorre Lupattelli istituì dei Corsi di Alta Cultura per studenti stranieri con lo scopo di diffondere all’estero la conoscenza dell’Italia, di illustrarne la storia, le istituzioni, le bellezze artistiche. Tali corsi sono tuttora attivi e costituiscono uno dei segmenti d’eccellenza dell’offerta formativa dell’Ateneo.
Nel 1925 il Regio Decreto del 29 ottobre n.1965 sancisce ufficialmente la nascita della Regia Università italiana per stranieri. La cultura nazionalista del Ventennio ne aveva favorito la nascita, nell’intento propagandistico di “affermare la superiorità della cultura italiana nel mondo”. Il motto dell’ateneo, Antiquam exquirite matrem, si riferisce ad un passo dell’Eneide, ovvero al responso dato da Apollo ad Enea, che aveva fatto supplice richiesta al dio di indicargli dove dirigere la propria rotta.
Sino al 1926 corsi e conferenze furono ospitati nelle aule dell’Università degli Studi e nella Sala dei Notari di Palazzo dei Priori, ma già dal 1927 la Stranieri acquisì una sede propria nel prestigioso Palazzo Gallenga Stuart, donato dal conte Romeo Gallenga Stuart al comune perugino e quindi destinato in uso perpetuo e gratuito all’Università, patto che si conservasse il nome del Palazzo, per lo svolgimento delle sue finalità istituzionali.
Nel periodo postbellico le attività istituzionali dell’Università per stranieri di Perugia sono caratterizzate anche dallo svolgimento di compiti di politica culturale, volti, pur nei termini del proprio mandato formativo, al consolidamento del nuovo corso dei rapporti tra le nazioni. L’apprezzato esito delle azioni svolte in questo senso dall’Ateneo fanno sì che esso divenga nel tempo stabile interlocutore di istituzioni nazionali, primo fra tutti il Ministero degli Affari Esteri, oltre che di organismi internazionali, per l’affidamento di azioni formative legate allo svolgimento di delicate azioni di politica estera.
Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, che vedono i giovani studenti di tutto il mondo occidentale assumere un ruolo di proposizione politica, l’Ateneo diventa laboratorio internazionale di discussione, di dibattito, di confronto, di scambio. La comunità cosmopolita di Palazzo Gallenga lavora, come molta della gioventù del tempo, alla costruzione di nuove dimensioni sociali, sperimentando con largo anticipo quell’interattività multietnica e multiculturale di cui oggi tanto si discute.
Il 17 febbraio 1992 l’università assume il titolo di università Statale, istituendo la Facoltà Italiana di Lingua e Cultura ed il Dipartimento di Linguistica e Cultura Comparativa. In aggiunta ai tradizionali corsi di lingua e cultura, l’Università oggi offre anche diplomi di laurea, certificazioni di lingua (per esempio il CELI) e master.

OTTAVA STATIO: LA CHIESA DI SAN FORTUNATO

Di fronte a Palazzo Gallenga Stuart, tra via Pinturicchio e via Bartolo, risale al XII-XVII secolo; nel il 1163 è annoverata tra gli edifici alle dipendenze del Capitolo della Cattedrale di Perugia. È certamente parrocchia nel 1285. Nella forma attuale risale al 1634, quando fu ricostruita dai monaci Silvestrini qui trasferiti definitivamente in seguito alla costruzione della Rocca Paolina, che aveva distrutto la loro sede, la chiesa di Santa Maria Nuova. Sulla facciata è ancora leggibile la struttura della chiesa medioevale: a doppio spiovente con campanile a vela.
La chiesa è ad unica navata e contiene interessanti altari in legno dorato seicenteschi con statue d’ispirazione francese, alcune delle quali di Leonardo Scaglia. Il quadro in fondo al coro, raffigurante la Madonna San Fortunato e San Giorgio è opera dell’artista perugino Scilla Pecennini, realizzata per l’altare maggiore, oggi scomparso, a cui lavorò Bino Sozi nel 1584

ALTRI LUOGHI DI INTERESSE

A. LA CHIESA DI SAN MATTEO DEGLI ARMENI
Il luogo venne donato dai canonici della Cattedrale ai monaci armeni della regola di S. Giovanni Battista nel 1272. La chiesa venne costruita tra il 1273 e il 1277, insieme ad un Ospizio dei Monaci Armeni di S. Basilio, giunti in Italia per sfuggire alle persecuzioni dei Saraceni. Nel 1523 era uno dei luoghi per la sepoltura degli appestati e divenne lazzaretto nel 1528, anno di una violenta pestilenza. In seguito fu data in uso alla famiglia Oddi.
L’interno, ad unica navata divisa in due campate gotiche, è coperto da volta a crociera che poggia su sei grosse colonne infisse per metà nel muro. Sulla prima colonna a sinistra, papa Leone IV che domina il serpente; sulla parete di sinistra Madonna con Bambino tra Angeli e i SS. Caterina e Matteo del 1348 e un San Leonardo tra i fedeli inginocchiati, di scuola umbra. La parete di fondo, su cui si apre una finestra trilobata a sesto acuto, è rivestita da affreschi: l’Ascensione di Gesù tra gli Angeli e i Dodici Apostoli; a sinistra della finsetra i santi Matteo Apostolo e Francesco d’Assisi e Madonna in trono con Bambino affiancati da un santo, probabilmente San Basilio di artista umbro di fine Duecento, allievo di J.Torritti.
Sulla controfacciata una rarissima raffigurazione di San Gregorio Armeno su cui sono state inserite scritte greffite in armeno. I restauri del 2008 hanno rivelato una nicchia con una grande statua di terracotta, unica rimasta del ricco arredo voluto dall’arciprete della cattedrale Marcantonio Oddi nel 1636.

B LA TORRE DEL CASSERO
La porta è nota anche con gli appellativi di Porta degli Armeni, Porta San Matteo, per la vicinanza con la chiesa duecentesca di San Matteo degli Armeni, oppure Porta di San Cristoforo, dal nome dell’antica porta sita a metà Rione. È la più grande delle porte medievali di Perugia ed è uno splendido esempio di architettura militare. Nel 1326 l’antica porta venne fortificata da Ambrogio Maitani. La grande torre merlata, i cui merli sono di epoca fascista, è costruita in conci di pietra e laterizi e ha ospitato nei secoli anche un presidio militare. Ha subito un restauro nel 1797 e nel 1799 è stata abbattuta dalle truppe austro-aretine. Ulteriori restauri nel 1820 e nel 1931. Negli anni Cinquanta nel Novecento ha ospitato un Circolo ricreativo del Partito Socialista. Dopo l’ennesima ristrutturazione, negli spazi interni è il Museo delle Mura e delle Porte della Città, distribuito sui tre piani. Per entrare si attraversa un piccolo giardino e si sale una scala esterna in legno che immette al primo piano della rocca, dove è la sezione etrusco-romana del museo, con un plastico della cinta muraria perugina di questo periodo storico, cippi originali di epoca romana e calchi di particolari scultorei di Porta Marzia e dell’Arco Etrusco. Al secondo piano la sezione medioevale ha un plastico con la riproduzione della cinta muraria in scala e clachi di elementi ornamentali di Porta Sant’Angelo. Il terzo piano è occupato dall’allestimento relativo alla Perugia Ottocentesca: plastico della cinta muraria del XIX secolo e calchi delle sculture di Porta San Pietro. Salendo ancora si raggiunge il terrazzo panoramico, il punto più alto della città, da cui su tutti i lati si può ammirare un bellissimo panorama della città.

C. LA PORTA DELLO SPERANDIO

La Porta medievale dello Sperandio, della quale si ha notizia anteriormente al 1329, anno in cui una lastra sopra l’apertura ricorda il restauro, è così chiamata per il monastero benedettino eretto a poche centinaia di metri fuori le mura, soppresso nel 1798. L’arco è ribassato, in pietra di travertino e arenaria alternate, e impostato su due cunei di travertino, stesso materiale degli stipiti. Sopra l’arco una lapide ricorda che nel 1329 Porta ista restaurata fuit. L’accesso fu più volte murato nel corso del XIX secolo e definitivamente riaperta nel 1931. Oltrepassata, sono visibili le mura medievali della città. Fuori dalla cinta muraria l’area per le sepolture, nota come la Necropoli dello Sperandio, già attiva nel VI secolo a.C; molti manufatti rinvenuti sono esposti nelle sale del Museo Archeologico dell’Umbria, nell’ex chiostro del Monastero di San Domenico, a Porta San Pietro. Poco distante è stata individuata anche l’area dgli ustrina, cioè il luogo dove venivano cremati i corpi in epoca pre cristiana, per essere raccolti nelle urne cinerarie. L’area è stata utilizzata fino ad epoca medievale.

D. L’EX MONASTERO DI SANTA LUCIA
Sempre in corso Garibaldi era l’antico insediamento delle monache agostiniane. Il Monastero è stato soppresso. Ha ospitato la sede del Conservatorio Antinori, che dal 1815 al 1870 offrì assistenza ed educazione alle ragazze povere ed emarginate.oggi, in continuità con il passato è la sede della scuola elementare del quartiere. All’esterno una porta ad in laterizio, davanti all’ingresso del monastero, fu fatta erigere dalle monache di Santa Lucia nel 1706. All’interno del complesso, la chiesa è a pianta quadrangolare ed è stata restaurata nel 1614 e nel 1815. Sotto l’altare le reliquie di Santa Giustina, traslate nel 1696. Oggi l’unico arredo sopravvissuto è il coro ligneo mentre sono andati perduti gli affreschi e i quadri.

E. L’ EX MONASTERO DI SANT’ANTONIO DA PADOVA
Posto quasi di fronte il Monastero di Santa Caterina e oggi sede della Casa della Studentessa. Fondato dalla beata Angelina da Marsciano nel Quattrocento, ha ospitato terziarie francescane, ricordate negli annali della città per l’assistenza ai malati di peste durante l’epidemia del 1497. Le suore rimasero nella struttura fino al 1816, quando rimaste in poche si unirono alle sorelle del monastero di Santa Lucia. Nel 1970 è stato quasi del tutto demolito e ricostruito: dell’antica sede sono ancora visibili delle tracce di aggreschi nella sala a sinistra dell’androne. Nel 1810 venne sottratto al luogo il bellissimo Polittico di Sant’Antonio, realizzato da Piero della Francesca nel 1468 su incarico di Ilaria Baglioni, ministra del monastero dal 1467 e dal 1810, dopo le demanazioni napoleoniche, una delle opere di punta della Galleria Nazionale dell’Umbria. Altri capolavori appartenenti a questa sede erano la Pala Colonna di Raffaello, venduta dalle monache in due riprese: nel 1663 e nel 1678 e oggi smembrata tra il Metropolitan Museum di New York, Dulwich Picture Gallery e National Gallery di Londra, Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Felice Pellgrini, detto il Pittor Bello, oggi conservato alla Bob Jones University di Greenville (USA).

F. L’EX CHIESA DI SAN CRISTOFORO
L’ex Chiesa parrocchiale di San Cristoforo, nota già prima del 1273 come proprietà dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname. La chiesa fu ampliata nel 1488, con il contributo della cittadinanza di 25 fiorini. Oggi è riconoscibile solo dalla facciata esterna a capanna ed è stata sede di una falegnameria e di uno studio fotografico. Nella sommità della facciata è ancora visibile l’emblema della corporazione scolpito nella pietra, raffigurante la squadra e il compasso. Il Portale, a baldacchino, è del XIV secolo. All’interno aveva una copertura di travi e archi ed era ornata con stucchi nei tre altari.

F. LA CHIESA DI SAN BENEDETTO DEI CONDOTTI

La chiesa di San Benedetto dei Condotti, così chiamata per la vicinanza dell’acquedotto medievale che da Monte Pacciano arriva fino a Piazza IV Novembre; anticamente nota con il nome di Santa Maria Novella, venne fondata dall’eremita Giovanni Battista da Gubbio nel 1421. Nel Seicento subì un restauro. Nel 1640-1641 vi si traseferirono le monache Silvestrine del monastero di San Benedetto, oggi Sant’Erminio; da qui la denominazione di San Benedetto Nuovo. Il Monastero fu soppresso nel 1820, quando le suore, rimaste in poche, si unirono alle sorelle del Monastero di Santa Caterina. Attualmente è sede dell’Opera Universitaria (ADISU). Sono accessibili i due chiostri, di cui uno con pozzo centrale. L’interno della chiesa è caratterizzato dal transetto pluriabsidato e da frammenti di pavimentazione cinquecentesca, realizzata a Deruta; nella seconda arcata è un affresco raffigurante l’Annunciazione di scuola perugina del XVI secolo. e notevoli testimonianze di affreschi quattrocenteschi. Nella sala capitolare Presepio del XVI secolo. All’esterno il campanile settecentesco in mattoni ha la terminazione a cipolla, di chiara influenza orientale.

G. LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DELLE DONNE
Si trova in fondo alla ripida discesa di Piaggia; è legata al primitivo insediamento dei francescani in città e risale al 1212, quando San Francesco era ancora in vita. L’appellativo “Delle Donne” si deve al fatto che nel 1252, in occasione della realizzazione del monastero di San Francesco al Prato, il complesso fu venduto dai francescani alle monache benedettine di Sant’Angelo del Renaio a Cenerente, che vi rimasero fino al 1810. Riuscirono a tornare nel luogo nel 1814 ma soltanto per un anno, poichè l’ordine venne definitivamente soppresso. A causa della posizione, il monastero fu più volte abbandonato in occasione di guerre. Nel 1547 venne ampliato. L’intera struttura venne impiegata tra il 1817 e il 1821 come ricovero e luogo di istruzione per ventiquattro fanciulle di umile origine; infine ospitò una filanda e la fabbrica di ceramica La Salamandra. Oggi è la sede della Cooperativa di produzione tessuti “Giuditta Brozzetti”. Negli ultimi anni vi ha sede un laboratorio tessile artigianale. L’esterno è molto rimaneggiato e presenta elementi romanici e gotici. All’interno è ad unica navata, tipica planimetria dell’ordine francescano, con pianta a corce latina e conserva alcuni elementi romanici nel transetto, la parte più antica dell’intero edificio. Una grande volta a crociera all’incrocio del transetto e il portale d’ingresso sono gotici. Le due tavole del XVI secolo che ornavano la chiesa si trovano esposte alla Galleria Nazionale dell’Umbria e rappresentano La Vergine col Bambino, San Benedetto e San Francesco d’Assisi e la Madonna con Bambino e monaca orante.

H. LA CHIESA DELL’UNIVERSITÀ
L’imponente complesso di Monte Morcino nuovo, cui appartiene la chiesa dell’Università, fu progettato nel 1740 da Luigi Vanvitelli per i monaci Olivetani, i quali vi si trasferirono abbandonando il più antico monastero di Monte Morcino, da allora detto “vecchio”. Espropriato da Napoleone, dal 1811 il convento fu assegnato all’Università degli Studi di Perugia, che ne mantiene tuttora il possesso,ospitandovi il Rettorato. La chiesa, utilizzata come aula magna fino alla fine degli anni ’50, è stata restituita al culto nel 1958. Notevoli il chiostro, il portico e l’adiacente giardino pensile. Sulle pareti del vasto atrio è esposto un’importante corpus di calchi di iscrizioni etrusche.

I. L’ARCO ETRUSCO
Costruito intorno alla seconda metà del III secolo a.C., è la porta settentrionale della cinta muraria etrusca, che dava accesso al più importante asse viario nord sud che univa la città a importanti centri quali Gubbio, Cortona e Arezzo. In un documento del 1306 viene indicato come Porta Pulchra, definizione già in uso nel VII secolo. È aperto nelle colossali mura etrusche e posto in corrispondenza con la Porta Marzia alla quale era collegato.
È fiancheggiato da due torrioni a pianta trapezoidale in opus quadratum con blocchi di travertino, progressivamente più stretti man mano che si procede verso l’alto, la cui parte inferiore è formata da filari disposti in aggetto mentre quella superiore è liscia e inclinata in modo omogeneo.
L’arco è a tutto sesto ad un unico fornice e composto da una duplice ghiera di cunei; nel lato che guarda la piazza è visibile la scritta Augusta Perusia, definita da cornice a rilievo. Negli spicchi formati tra l’estradosso dell’arco e le lesene laterali erano due teste umane rappresentativi delle divinità protettrici degli ingressi cittadini, oggi completamente erose dal tempo. Nella parte superiore dell’arco, tra due filari aggettanti, corre un fregio di tipo dorico, con scudi alternati a colonnine scanalate completate da capitelli ionici, che regge un secondo arco di dimensioni più contenute, ad una sola ghiera di conci radiali e cornice, oggi chiuso da una parete in laterizio e incorniciato da due pilastri lisci coronati da capitelli.
Nel Cinquecento è stato costruito sopra il torrione di sinistra una loggia collegata al vicino palazzo, oggi sede della Soprintendenza per i Beni Storico Artistici. Alla base del medesimo nel 1621 è stata aggiunta una sobria fontana in travertino.

L. IL GHETTO EBRAICO

Percorrendo via Ulisse Rocchi, già via Vecchia, in quanto è il più antico asse stradale nord-sud dal centro verso le mura, nella prima parte subito dopo l’Arco Etrusco, la via è larga e rettilinea grazie ad interventi Cinquecenteschi, ed è caratterizzata da palazzi nobiliari con finestre incorniciate da pietra; salendo la via si fa più stretta e tortuosa: all’altezza del n° civico 35 una scalinata e un vicolo immettono in una piazzetta interna dove era l’antico ghetto ebraico. In realtà, a Perugia non è mai esistito un vero e proprio ghetto, ma alcune zone con più intensa presenza ebraica, come via Vibi, via Pozzo Campana e via Maestà delle Volte.

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